Senza di loro non ci sarebbe il calcio. Neppure quello di casa nostra. Sono loro i presidenti dei club di A, B, C e D che, investendo nel pallone, possono oliare i meccanismi di un asset strategico che ha un impatto sul Pil nazionale pari a 10,2 miliardi di euro con 1,5 miliardi di gettito fiscale e oltre 112mila posti di lavoro occupati da giocatori, allenatori, vice allenatori, consulenti degli allenatori, preparatori atletici, massaggiatori, preparatori dei portieri, team manager che curano i rapporti con l’arbitro, effettuano i cambi in campo e si occupano delle trasferte, responsabili di match analisys, magazzinieri, e altri ancora Le cifre girate nella stagione 2021/2022 in serie A sono stellari (2,5 miliardi annui il volume d’affari), anche se non sono paragonabili a quelli della Premier League (6,5 miliardi), della Liga (3,5 miliardi) e della Bundesliga (3,1 miliardi). Il valore monetario dei giocatori della massima serie va, tanto per fare un esempio, da 200mila euro per un portiere della Cremonese, Gianluca Saro, agli 8 milioni di euro, più 5 milioni di bonus, versati dall’Inter al Chelsea per Romelu Lukaku. Infine, i valori delle rose delle squadre: a fine agosto, a chiusura del calcio mercato, il gruppo grigiorosso era valutato 75 milioni circa dal portale specializzato Transfermarkt a fronte dei 630 milioni dell’Inter.
Ma ecco qual è il valore dei giocatori che formano le rose dei club che puntano ai primi cinque posti nel campionato di A (sempre rilevato a metà agosto dal portale Transfermarkt): Inter (630 milioni), Milan (521), Juventus (501 milioni), Napoli (445), Roma (401). Ed ecco quello delle cinque squadre che, con ogni probabilità, lotteranno per la salvezza: Monza (129 milioni), Salernitana (96), Cremonese (75) Spezia (72), Lecce (63).
Ma anche in serie C (dove gioca la Pergolettese) e D (dove permane
da tempo il Crema) non si scherza. Ci aiuta a far due conti Antonio Livraghi, 56 anni, consulente calcistico dilettanti, e grande conoscitore anche delle società di serie C (professionisti). Ha collaborato con Libertà Spes Piacenza e Pro Piacenza. Lo abbiamo incontrato ad Annicco. Spiega: «Il budget previsto per una squadra di serie C che punta alla B è di almeno 6 milioni; chi vuole stare tranquillo a metà classifica, deve spendere, di media 4 milioni, mentre il club che punta a salvarsi deve investire almeno 1,5 milioni».
Quanto costano all’anno i giocatori?
«In serie C, i campioncini bisogna pagarli dai 50 ai 70mila euro, mentre quelli di media bravura costano in media 30mila euro l’anno. I costi dei calciatori che militano nei club di metà e fondo classifica si abbassano perché queste società, solitamente, hanno in prestito giovani che arrivano da sodalizi di serie A e B e, quindi, sono pagati (stipendio e contributi) dalle società di origine».
In serie D, qual è la situazione?
«Il club che vuole puntare ai playoff deve mettere a bilancio dai 300 ai 400mila euro, che salgono a 600-800mila euro per aspirare al passaggio di categoria. Per quanto riguarda i giocatori, pagati per soli 10 mesi l’anno, quelli davvero bravi costano al massimo 30mila euro, i meno bravi non superano i 20mila euro. Anche per la serie D, il costo dei calciatori si abbassa perché questi club sono obbligati ad avere in quadra almeno 8 giovani (4 di ruolo e 4 in panchina) ai quali viene dato, a testa, un compenso che va dai 400 ai 1.000 euro al mese per 10 mesi. Più alto è il numero di giovani in squadra, minore, ovviamente, è il costo di gestione del sodalizio».
Perché una persona vuole diventare presidente di una società di calcio?
«I motivi sono essenzialmente tre. Primo: per un amore sviscerato nei confronti della propria città come possono essere i casi di Giovanni Arvedi della Cremonese e di Enrico Zucchi del Crema. Secondo motivo: per una passionaccia sviscerata verso il mondo del calcio come lo è quella di Cesare Fogliazza. Terzo: ci sono presidenti che sicuramente amano la città dove vivono e lavorano, sono pure innamorati del calcio, ma una squadra di pallone può anche dare visibilità alle aziende che gestiscono come è il caso dei componenti della famiglia Luce, immobiliaristi, che hanno acquistato il San Giuliano City in Seconda categoria, l’hanno portata in Prima categoria, poi in Promozione, in Eccellenza, in serie D e ora in serie C».
Come si può guadagnare nel calcio?
«Con il calcio mercato. I soldi arrivano vendendo, ma anche prestando i propri giocatori ad altre squadre con formule infinite (prestito a titolo temporaneo, a titolo oneroso, secco, con obbligo di riscatto, con diritto di riscatto e controriscatto): in tutti i contratti di compravendita, infatti, viene messa una clausola obbligatoria nella quale è scritto che una percentuale dell’ingaggio dato al giocatore X per ogni suo trasferimento nelle categorie superiori deve essere riservata alla società che l’ha scoperto e cresciuto».
Tutto bene, dunque?
Assolutamente no. Il calcio italiano sta sempre più rotolando tra i debiti. I numeri sono spietati, come emerge da ReportCalcio del centro studi della Federcalcio: l’indebitamento dei club di serie A, B e C è salito a 5,4 miliardi. E non è ancora arrivata la batosta del fisco: infatti l’Irpef sugli stipendi, i contributi previdenziali e l’Iva sono stati rinviati da gennaio a novembre 2022 e, secondo le attuali norme, andranno saldati tutti entro il prossimo 16 dicembre.
Un incubo per le società di calcio professionistico. Le somme che si sono accumulate sono rilevanti se si pensa che nel 2019, la serie A ha quasi pagato un miliardo tra ritenute Irpef (700 milioni), Iva (170 milioni) e contributi previdenziali (più di 120 milioni).
Il risultato?
Fatturati sempre più leggeri, conti in rosso, il rischio di finire in guai seri e poche risorse da investire. Oggi s sta correndo ai ripari, in qualche modo, inserendo dei tetti al valore di mercato dei calciatori e ai loro ingaggi perché la messa in sicurezza del sistema calcio non è più rinviabile. Un esempio? Alla Juventus, Pogba e Di Maria sono arrivati a Torino a parametro zero e il loro “stoendio” è in linea con quello di Vlahovic (il più pagato della squadra), mentre De Ligt è stato venduto al Bayern Monaco anche perché guadagnava 12 milioni netti e nessuno altro giocatore della rosa bianconera, insomma, guadagnava come lui.
Questo stop alle spese folli varrà per tutti?
Vedremo.