Secondo Banca Efis, nel triennio dal 2022 al 2024, il totale degli Npl (acronimo di «Non performing loans», cioè i crediti inesigibili) dovrebbe aumentare da 72 a 82 miliardi, 10 miliardi in più rispetto a quelli previsti a febbraio. Questo incremento potrebbe essere attenuato dal modesto indebitamento delle famiglie e dalla loro ricchezza, e dalla resilienza delle imprese che, nonostante tutto, continuano a investire e, infine, dalla solidità e redditività delle banche.
«Il picco dei crediti deteriorati» secondo Carlo Festa del Sole24Ore «dovrebbe essere raggiunto nel 2023, ovvero circa 6-9 mesi dopo rispetto alle previsioni originali, a causa del persistere delle criticità dei prezzi su energia, materie prime e beni alimentari unitamente all’incremento dei tassi seguito dalla politica monetaria più restrittiva. Il tasso di deterioramento delle imprese è atteso in crescita in misura maggiore rispetto al segmento famiglie (nel 2023, 4% contro 2,3%) a causa del maggiore rischio legato ai finanziamenti ex moratoria». Preoccupazioni su questo fronte, anche se è presto per tirare i conti sugli effetti dell’inflazione e del caro-energia su famiglie e imprese italiane? Di sicuro l’onda lunga arriverà, ma le banche hanno le capacità per reggere il colpo. Soprattutto quelle grandi hanno già realizzato un importante derisking (riduzione dei rischi), ma in genere gli istituti di credito sono in grado di tenere basso il loro Npe (acronimo di «Non performing exposure» che misura l’esposizione che un istituto di credito ha verso i non performing loans) ancora per i prossimi anni, mentre il mercato dei servicer continua a far bene il suo lavoro per rendere stabile il sistema.