Intervista a Roberto Ziletti, titolare di Patelec Group

Benissimo con la pandemia male con la guerra in Ucraina

Produce cablaggi, cordoni elettrici e cavi Fatturato: da 36 a 139 milioni in 11 anni

Facebook
Twitter
LinkedIn
Pinterest
Pocket
WhatsApp

È il 1982, quando Roberto Ziletti, allora studente iscritto al primo anno di Economia all’Università di Parma, su richiesta del padre Mario, abbandona gli studi per iniziare a lavorare nell’azienda di famiglia, la Lastra SpA di Manerbio (Brescia), produttrice di lastre offset per la stampa.

Alla morte del padre, nel 2001, Roberto, che sino a quel momento aveva ricoperto il ruolo di responsabile commerciale estero, eredita un’azienda sana e con stabilimenti dislocati in tutto il mondo, e, nei quattro anni successivi, la conduce attraverso una transizione tecnologica tale da renderla appetita dalle grandi multinazionali del settore, tanto che, nel 2004, viene acquistata dalla belga Agfa.

La nuova proprietà chiede a Ziletti di rimanere in azienda altri due anni per gestire l’integrazione degli stabilimenti della Lastra con il mondo Agfa. Il sodalizio si protrarrà sino al 2016, ma nel frattempo, siamo nel 2007, egli decide di acquistare il Gruppo Patelec (acronimo di Patent-Electric), a quel tempo di proprietà del gruppo di Carlo De Benedetti, azienda sul mercato sin dagli anni ’50, con un elevato know-how tecnologico e un’esperienza riconosciuta a livello internazionale nella produzione di cablaggi, cordoni elettrici e cavi di alimentazione attraverso processi verticalizzati integrati.

Come e perché è maturata la decisione di vendere la Lastra SpA?
«Ho deciso di vendere perché non credevo più in quel settore; avevo intravisto all’orizzonte un lento, ma inesorabile declino di quella tipologia di prodotto, cosa che peraltro si è puntualmente avverata con l’avvento di nuove e più avanzate tecnologie che avrebbero, di lì a poco, segnato il passaggio dal mondo analogico a quello digitale. Sono stato fortunato e lungimirante nel fare quella scelta al momento giusto».

Quali sono stati gli insegnamenti di suo padre che le sono stati utili, soprattutto all’inizio della sua carriera imprenditoriale, nel gruppo Patelec?

«Sotto il profilo pratico, pur senza saperlo, lui utilizzava un metodo americano che viene chiamato management by wolking. Ovvero, camminando quotidianamente per lo stabilimento si confrontava con i dirigenti, gli ingegneri, i tecnici, i capi reparto e gli operai. Chiedeva cosa andava e cosa no, quali erano i problemi e quali le possibili soluzioni. Così, nel corso degli anni passati al suo fianco, ho imparato e fatto mia questa metodologia di lavoro. Solitamente il management non sa davvero che cosa succede in azienda. Al contrario, se tu vai in fabbrica e parli con i lavoratori ti arrivano informazioni che solitamente non avresti, vivi la vita vera dell’azienda».

Com’era suo padre?

«È facile cedere allo stereotipo del padre bravissimo e buonissimo, ma effettivamente era così. Aveva una grande umanità e sapeva farsi voler bene da tutti; io non riesco ad essere come lui, ma voglio bene alle persone che lavorano per me e con me».

Parliamo del gruppo Patelec, di cui lei è socio di maggioranza e proprietario.
«Si tratta di un gruppo piuttosto articolato, composto da quattro stabilimenti, di cui l’ultimo, in Cina, ultimato due anni fa. Il quartier generale è rimasto a Cerrina Monferrato, in provincia di Alessandria, le altre fabbriche si trovano a Legnica (in Polonia) e due sono a Ningbo, in Cina.

La nostra produzione si rivolge a una vasta gamma di settori: dagli utensili professionali ai prodotti per la pulizia, dalle pompe agli strumenti elettromedicali fino piccole e grandi apparecchiature elettroniche, in ambito sia consumer sia professional».

A partire dal 2009, l’azienda ha dato il via a una ristrutturazione industriale complessa, al fine di ottimizzare le aree produttive, riorganizzare e rafforzare la rete di vendita in Europa, Stati Uniti ed Estremo Oriente.

In seguito, il gruppo ha acquisito una nuova business unit, passo strategico che ha permesso di completare l’attuale gamma di prodotti (cordoni elettrici e cavi), con la produzione di cavetteria e cablaggi, indirizzati principalmente al settore bianco e pompe sommerse».

In quali mercati vi siete consolidati?

«Attualmente, il mercato principale è quello europeo, che incide per il 75% sul fatturato, ma vendiamo ovunque, dagli Stati Uniti all’Asia. Serviamo alcune tra le più grandi e conosciute multinazionali del settore: Makita, Bosch, Stihl, Electrolux, Liebherr, Whirlpool, Franke, Karcher, Panasonic, Somfy, De Longhi e altre ancora. Siamo in grado di garantire ai clienti un servizio locale che li supporti nello sviluppo del loro business a livello globale attraverso una logistica su misura a seconda del paese di destinazione, offrendo la più ampia gamma di prodotti omologati a livello mondiale e garantendo elevati standard qualitativi, questo grazie al costante controllo di tutto il processo produttivo».

Parliamo di fatturato.

«Siamo passati da un fatturato di 36 milioni e 455mila euro nel 2010, a 139 milioni e 567mila euro nel 2021 e abbiamo 1.000 dipendenti; dunque stiamo crescendo molto velocemente. Inoltre, di recente ho deciso di cedere delle quote a Alessandro Olivieri, di professione commercialista ed ora anche mio socio.

Il Covid-19, il caro-energia, il caro-materie prime e la guerra in Ucraina come hanno influito sul business aziendale?

«Durante la pandemia, il nostro fatturato è cresciuto in maniera inattesa e impressionante; di fatto è quasi raddoppiato rispetto al periodo pre-Covid. Le persone, durante il lockdown, hanno iniziato a sistemare casa e acquistare elettrodomestici e, di conseguenza, abbiamo assistito a un boom di ordinazioni. Finita la pandemia, è terminata anche l’euforia per gli acquisti a cui si è aggiunto lo scoppio della guerra in Ucraina. L’aumento delle materie prime, almeno dal mio punto di vista, non è stato il problema principale, mentre la vera criticità è rappresentata dal fatto che noi serviamo multinazionali con stabilimenti produttivi in Russia e Ucraina, che di punto in bianco hanno dovuto chiudere interrompendo così la produzione. Inoltre, gli aumenti di gas, petrolio e generi alimentari, hanno scoraggiato gli acquisti dei beni non di prima necessità; dunque, c’è stato un autentico tracollo degli ordini. Inoltre, tutte le multinazionali, provenienti da un periodo di forte incremento delle vendite, avevano riempito i magazzini e ora non stanno ordinando più nulla perché devono smaltire la merce acquistata. Da agosto a oggi sono stati mesi difficili, tuttavia sembra che ora ci sia una leggera inversione di tendenza».

Al netto di questa volatilità, cosa significa essere un imprenditore al giorno d’oggi?

«Quello che sento è una grandissima responsabilità soprattutto nei confronti delle persone che lavorano per me, una condizione che a volte è addirittura insopportabile. Ad un’azienda italiana un dipendente costa uno sproposito, ma non sono soldi che finiscono nelle tasche del lavoratore, magari fosse così. Concordo sul fatto che gli stipendi dovrebbero essere più alti, questo però non deve coincidere con un aumento dei costi per le aziende, bensì tradursi in reali benefici per i lavoratori, consentendo alle persone un maggior potere d’acquisto e, di conseguenza, una spinta per l’intero sistema economico. Amo il mio lavoro, ma fare l’imprenditore è anche una sofferenza. Ci sono momenti di gioia ed esaltazione, intervallati da altri di sconforto, tensione e preoccupazione. Ma questo fa parte del grande gioco della vita».

Quanto sono importanti la tecnologia e l’innovazione nel vostro settore?
«Quello in cui ci troviamo a operare è un settore maturo nel quale la tecnologia al livello di efficienza produttiva ricopre un ruolo fondamentale. Questo ovviamente vale anche per gli altri comparti, ma per noi il focus rimane l’efficienza produttiva. Nei nostri laboratori siamo in grado di riprodurre sui cavi e/ocordoni elettrici prove sul campo specifiche per l’applicazione finale, oltre ad altri test sulla struttura del cavo, test di trazione e l’allungamento, di flessibilità,pull test e di sollecitazione meccanica».

Cosa chiede oggi un imprenditore al mondo della politica?
«Il mondo della politica è completamente scollegato da quello del lavoro, e di conseguenza non può comprendere le reali necessità delle aziende e delle imprese. Che siano di destra, sinistra o tecnici, sembra che i governi facciano il possibile per metterti i bastoni tra le ruote».

Che cosa vede nel suo futuro?

«La responsabilità nei confronti dei miei 1.000 di- pendenti e delle loro famiglie mi impone di fare del mio meglio. Voglio continuare a condurre l’azienda in un costante processo di crescita. Raggiunto quest’ultimo obiettivo, intendo trovare qualcuno in grado di farla prosperare e di proseguire il mio lavoro, in modo da potermi ritirare e dedicarmi in tutto e per tutto alle mie passioni e ai miei interessi».

Quali sono queste passioni?

«La storia antica, la filosofia, l’alchimia. Mi interrogo sulla ricerca di Dio, su come è nato l’universo, sul senso della vita. Chi siamo? Da dove veniamo? Sono da sempre quesiti che mi affascinano e cerco di trovare le risposte attraverso queste discipline. Senza dimenticare la mia grande passione per le motociclette».

Facebook
Twitter
LinkedIn
Pinterest
Pocket
WhatsApp

Iscriviti alla nostra newsletter!

Iscriviti alla newsletter