Wöa! Un’espressione onomatopeica che indica stupore, meraviglia, sorpresa. Ed è proprio questo l’effetto che suscitano le opere realizzate da Davide Carioni (in arte Asker) co-founder e creative art director & technologist di Wöa Creative Company (www.woacreativecompany.com).
Wöa è uno studio multidisciplinare focalizzato sulla fusione di arte e tecnologia che ha lo scopo di creare progetti ed esperienze multimediali, interattive e sensoriali. Tutti i progetti di Wöa si sviluppano all’interno di un ambiente stimolante, appassionato, covo di conoscenze trasversali, competenze e abitudini differenziate. Un ambiente continuamente alimentato dalla curiosità e della ricerca del connubio fra l’arte nel creare video e l’utilizzo di nuovi strumenti tecnologici.
Il fine di Wöa è proprio quello di generare un senso di meraviglia, creando connessione e coinvolgendo il pubblico attraverso esperienze immersive.
Wip ha deciso di conoscere più da vicino queste nuove figure professionali e le loro creazioni che ci spingono verso il futuro.
Ciao Davide, come nasce Wöa?
“Lavoro nel settore della grafica multimediale e della motion graphic da anni. Da freelance ero arrivato ad avere l’agenda sempre piena e una grande soddisfazione professionale, ma mi sentivo entrato in un meccanismo ripetitivo e poco stimolante, non riuscivo più ad esprimermi e a trasmettere ciò che avevo dentro, poi l’incontro con Giuliana Pajola (co-founder, project manager ed executive producer di Wöa), conosciuta durante altri eventi e progetti condivisi, ha fatto scattare qualcosa. E’ nato tutto da un pensiero e dalla necessità di creare qualcosa di nostro, dopo tante chiacchierate, tra un sushi e l’altro.”
Due figure inversamente proporzionali, due background complementari che si compensano perfettamente creando il giusto compromesso nello sviluppo e nella gestione dei vari progetti. Da una parte Davide che rappresenta la parte creativa e geniale, lo spunto concettuale. Dall’altra Giuliana la quale, con un approccio più manageriale, sia dal punto della sperimentazione che da quello dell’innovazione, senza tralasciare gli aspetti amministrativi e organizzativi, è in grado di garantire la perfetta riuscita degli eventi Wöa, contribuendo anche in maniera fondamentale alla gestione dei clienti, dei permessi e di tutto l’aspetto logistico e burocratico. Wöa può contare anche su una squadra di figure professionali di assoluto valore. Il team è composto da 9 persone. Tutti con competenze orizzontali che vanno dal video making, creative technologist, illustrazione, 3d Art, graphic design, social media management, copyrighting eccetera.
Quali sono i requisiti per lavorare in Wöa?
“La mia idea è quella di coinvolgere ogni risorsa in diverse competenze operative proprio per creare un’orizzontalità nelle varie mansioni e per poter delegare ogni tipo di responsabilità operativa. Il presupposto è che ognuno si esprima in quello per cui è più portato. Infatti, se una persona ama quello che fa, di conseguenza lo farà bene.”
Che nome professionale possiamo dare a chi svolge questo lavoro?
“Proprio per l’orizzontalità delle competenze, definirei queste figure “creative technologist” e, se vogliamo, si potrebbero anche definire “artigiani tecnologici”.
Per lavorare in questo settore è necessario restare al passo con la tecnologia e la sua frenetica velocità. Come vi siete adattati?
Cerchiamo di conoscere in anticipo le tendenze della tecnologia; quindi, amiamo sperimentare sempre e cercare di sfruttare tutti gli strumenti che le tecnologie ci mettono a disposizione per creare progetti sempre nuovi. Prima lavoravamo molto con agenzie ed eventi, ora ci siamo spostati principalmente sulla realtà aumentata e su eventi digitali (videomapping, motion graphic ed esperienze interattive).
A proposito di esperienze interattive, com’è andata la mostra Logout svoltasi al Museo Kunstkraftwerk di Lipsia, Germania?
“E’ la prima volta che mi crogiolo un po’ sul successo ottenuto perché Logout è stata la prima mostra personale firmata Wöa e quindi c’è tutto un discorso legato alla nostra identità che si è espressa integralmente. Nelle tre date abbiamo fatto sold out e per noi è stata un’enorme soddisfazione vedere la risposta delle tante persone intervenute con grande entusiasmo e interesse. Avevamo già collaborato con il museo Kunstkraftwerk quando abbiamo realizzato un’installazione artistica luminosa, chiamata Origini, che sarà permanente.”
Com’era organizzata la mostra e che temi trattava?
“Il museo disponeva di 6 sale e l’abbiamo realizzata con 8 installazioni totali. Abbiamo creato dei percorsi interattivi, immersivi e introspettivi stimolando il pubblico a riflettere su tematiche di impatto sociale e ambientale e sulla rivoluzione digitale. Per esempio, abbiamo trattato la tematica dell’abuso degli strumenti digitali, una sorta di autocritica indotta su come influiscano negativamente sulla nostra coscienza e sulla nostra vita, cercando di mostrare all’utente un punto di vista differente, una visione dall’alto. In una camera ci siamo dedicati alla tematica dell’infodemia (cioè il diffondersi rapido e incontrollato di un’enorme quantità di informazioni ndr), in un’altra abbiamo affrontato il problema dei rifiuti spaziali.”
Rifiuti spaziali: in che senso?
“Grazie al confronto con un astronomo e un altro ricercatore INAF, abbiamo acquisito alcuni dati da NASA ed ESA, usati poi per creare un’opera immersiva (Fallin’Sky) generata dai dati stessi. Siamo venuti a conoscenza dell’enorme massa di rifiuti spaziali che orbitano attorno al nostro pianeta. Un argomento molto interessante e poco discusso. Basti pensare che spesso quando esprimiamo un desiderio pensando di vedere una stella cadente, in realtà ci sono buone probabilità che lo stiamo esprimendo ad un detrito o un rottame spaziale che impatta l’atmosfera. Con quest’opera abbiamo voluto sensibilizzare le persone su questo tema.”