Si può non uccidere un animale per creare una borsa glamour? Per dirla in modo meno crudo: nel fashion system si può unire l’etica con l’estetica, due concetti che, spesso, viaggiano su binari diversi? Sì. E a dimostrarlo c’è Miomojo, una griffe di borse e accessori, fondata a Bergamo nel 2012, con lo scopo – dichiarato già al momento della sua costituzione – di essere un brand di moda vegan che sa realizzare prodotti di design di qualità e trendy (come i migliori competitors), ma con materiali sostenibili e innovativi a tutela dell’ambiente e di ogni essere vivente. Una creatività, insomma, totalmente cruelty free.
Fondatrice e ceo di Miomojo è Claudia Pievani, una quarantenne nata a Sarnico, trasferitasi dai 15 anni ai 18 anni ad Heidelberg, in Germania, per studiare lingue, poi laureatasi in Lingue ed Economia all’università Johannes Gutenberg di Magonza, con ulteriore master conseguito in Business Administration alla Bocconi. Ha lavorato, infine, come export manager in aziende di accessori di moda tedesche e italiane. «Volevo parlare bene le lingue, e ne ho imparato quattro. Sono stata molto in giro, nel business internazionale». Ma non si sentiva soddisfatta.
«Volevo una ragione per cui lavorare. Il business è importante. Come il poter creare qualcosa di bello: lo diceva il filosofo bulgaro Todorov che la bellezza salverà il mondo». Ma lavorando nel luxury si era resa conto che molti prodotti sono realizzati a spese dell’ambiente e degli animali, e che le alternative a questo settore non pareggiavano in qualità ed estetica con i migliori brand sul mercato.
Vegetariana già a 15 anni, vegana oggi, dopo essersi presa un anno sabbatico studiando negli States, dove ha imparato qualche parola anche di cinese, ha avuto la sua folgorazione: «Voglio creare un’impresa nella quale il disegnare e produrre borse sia allineato ai miei valori etici, estetici, rispettosi dell’ambiente e di ogni essere vivente» si è subito promessa. Ma non solo: «La mia impresa deve servire anche a qualcos’altro». E cioè? «Salvare gli animali perché do il 10% degli utili alle associazioni che si occupano del loro benessere». Da qui il convincente slogan: «Tu compri, noi doniamo».
Così è nata Miomojo: «Creare borse di pelle senza la pelle». Il nome innanzitutto. All’italico “mio” si è aggiunto “mojo” che, nello slang inglese, significa“coinvolto” e “motivato”, mentre in quello americano esprime “fascino”, “talento”, “fortuna” e in un dialetto del sud dell’Africa si traduce in “porta fortuna”. Tanta positività, insomma.
«Creata l’azienda con i miei risparmi, ho venduto subito all’estero, in Germania, perché conoscevo quel mercato e non potevo permettermi di non essere pagata. E quando un imprenditore tedesco mi ha fatto una commessa molto interessante, sono volata subito a Honk Kong per fabbricare le mie prime borse: mi è stato utile avere imparato quelle poche parole di cinese per aprire immediatamente un dialogo».
Parte della produzione è in Cina («in fabbriche assolutamente certificate», e anche «perché non era fattibile una produzione 100% italiana»), dove Miomojo ha una filiale. Ma il “cuore” e il “cervello” di questa nuova frontiera della moda sostenibile e dell’innovazione green è a Bergamo, in via dell’Autostrada, dove ci siamo stati. Esposta c’è una gamma rappresentativa di borse, tracolle, bucket hanbag, zaini, hobo, belt bag, portafogli, astucci, trousse. Tutti prodotti eco-friendly realizzati con materiali innovativi ricavati, per esempio, dagli scarti bio-based di uva, riso, miele, cactus oppure riciclati da reti da pesca, scarti di tessuti, bottiglie di plastica, vetro o ancora creati in laboratorio a partire da risorse naturali come i funghi, «per non parlare in un futuro, che spero prossimo, di poter utilizzare la pelle bovina creata in vitro e ricavata dalle cellule coltivate in laboratorio. Sarebbe un vero gamechanger». Abbiamo incontrato Claudia Pievani subito dopo il suo viaggio, a maggio, in Sudafrica dove si era recata a visionare quello che è da tempo il suo sogno: «Creare una Fondazione Miomojo con lo scopo di costruire a Bergamo un luogo all’interno del quale oltre alla parte creativa (cioè gli uffici della società) ci sia posto anche per la parte educational (rivolto alle scuole, partendo dai bambini) e un centro di salvataggio animali». Miomojo, quindi, è molto di più di un brand. «E’ una vision, una mission, nel senso proprio di missione vera e propria». Lo sbocco naturale di questa Srl non poteva che essere quello di diventare prima una Società Benefit e poi una B Corp (acronimo di Benefit Corporation), superando a pieni voti un severissimo esame a livello globale per ottenere questa certificazione nata in California. Infatti, vengono riconosciute come B Corp solo le aziende che rispettano tutti i parametri Esg (in materia di enrivonmental, social e governance). Tradotto a pane e salame? Il business vale quanto la sostenibilità, e quindi il bilancio annuale di sostenibilità ha lo stesso valore del bilancio d’esercizio. Un percorso non facile: l’assessment è giudicato «complesso e oneroso»; solo un’azienda su tre ottiene la certificazione. A febbraio 2022 risultavano 4.500 B Corp certificate nel mondo di cui 156 in Italia (6 in provincia di Bergamo) con oltre 13.550 dipendenti coinvolti e 9,5 miliardi di ricavi. Il vantaggio: una crescita maggiore della reputazione e delle performance.
Il riconoscimento di società B Corp, racconta Claudia Pievani, è arrivato dopo un processo «durato due anni circa; un cammino doloroso, non privo di sforzi e di forte impegno» e reso complicato dal Covid 19. «Quello è stato un periodo faticoso con i negozi chiusi per il lockdown; per fortuna eravamo cresciuti, anno dopo anno, e abbiamo così potuto risparmiare per tenere duro. Di positivo è che ci siamo potuti dedicare (quasi) totalmente all’arduo superamento del B Impact Assessment e a ridefinire la strategia per gli anni a venire. Adesso ho molto più chiara la nostra vision». Anche il mondo, nel frattempo, è cambiato dai momenti bui della pandemia. «Se prima del Covid non importava a nessuno delle materie alternative alla pelle per realizzare borse e accessori, e se anche oggi, a causa di inflazione alta e del caro-bollette la gente continua a guardare al minor prezzo dei prodotti da acquistare, è indubbio che la direzione da sempre seguita da Miomojo sarà quella vincente».
Le statistiche, infatti, sottolineano che il 66% dei consumatori è disposto a pagare di più per prodotti sostenibili. Altre stime prevedono che le dimensioni del mercato globale della moda vegan raggiungerà oltre un trilione di dollari entro il 2028, e questo risultato solo nel reparto Donna.
Insomma, come sostiene Claudia Pievani, «the best way to built a kinder world, is to design it» («il modo migliore per costruire un mondo più gentile è progettarlo»). Come? «Con l’esempio, lead by exemple. Non ho mai fatto grandi prediche».
Il rispetto delle abitudini altrui l’ha imparato in famiglia, una tipica famiglia bergamasca che fa polenta e coniglio la domenica, «ma che non mi ha mai osteggiato né sostenuto nella mia scelta». Il cliente deve essere educato a cambiare le sue abitudini indirizzandolo verso un mondo più sostenibile. «Ma se è vero che questa scelta culturale è individuale, il sistema Paese deve imporre regole per far costare di più i prodotti che causano più inquinamento». Miomojo è un’azienda di 10 persone («saranno il doppio entro il2024»), tre milioni di fatturato nel 2022 («come nel periodo pre-Covid»). I Paesi in cui vende di più sono quelli di lingua tedesca: Germania, Svizzera e Austria. Ma se prima dello scoppio della pandemia, l’Italia, nella classifica delle vendite, risultava quarta, oggi è al primo posto, seconda la Germania, terzi gli Usa.
Il panorama dei competitors Miomojo che offrono accessori vegan e cruelty-free è molto ristretto, con un grande player ispirazionale del lusso come Stella McCartney. L’azienda bergamasca, inoltre, si colloca sul mercato medium luxury offrendo prodotti di qualità a prezzi competitivi. Una scelta, questa, che ha una motivazione ben precisa. «Non ho voluto posizionarmi nel settore lusso perché così sarei finita in una nicchia di mercato meno abbordabile ad alcune fasce di clienti», mentre la sua mission è quella di permettere a più persone di fare scelte d’acquisto responsabili senza dover sopportare un sacrifico monetario superiore.
Anche se i prezzi del brand superano quelli del fast-fashion; il motivo l’ha spiegato ancora la stessa Pievani in un recente forum su «Sustainable Production an Consuption»: acquistare un prodotto finito a basso costo equivale ad accettare e incoraggiare l’idea che umani e ambiente, nella catena di approvvigionamento, possano continuare a pagare il prezzo maggiore.
Due le linee di vendita dei prodotti Miomojo. Quella dei canali d’acquisto che distribuiscono, poi, ai punti vendita. E quella on line per i più rinomati zaini e borse alla moda, realizzati in Italia con materiali vegani e innovativi. Il futuro? «L’ulteriore salto di qualità è quello di avere un distributore per ogni Paese; non uno qualsiasi, ma che sappia anche istruire i negozianti a cui fornisce i nostri prodotti sulla vision di Miomojo». Non ha mai pensato di mollare? «Tante volte. Ma il motto bergamasco del “mola mia” è nel Dna di questo popolo a cui sono orgogliosa di appartenere: non cedere mai, rimboccarsi le maniche, essere donne e uomini del fare. Sempre. Ecco perché è importante che Miomojo venga associata a Bergamo».
Quale messaggio lanciare ai giovani che vogliono fare gli imprenditori? «Tre parole: se vuoi, puoi. Non sono ammesse scuse e lamentele. Devi avere le risorse dentro di te se vuoi trovare chi ti può offrire le risorse: i soldi ci sono. Devi farti il mazzo. Per essere un imprenditore servono resilienza, disciplina e costanza».