Michael Jordan è l’emblema del successo sportivo, il miglior giocatore di basket di tutti i tempi e uno degli uomini di sport più importanti mai esistiti. Una volta disse: “Nella mia vita ho sbagliato più di 9mila tiri, ho perso quasi 300 partite, ventisei volte i miei compagni mi hanno affidato il tiro decisivo e l’ho sbagliato. Ho fallito molte volte. Ed è per questo che alla fine ho vinto tutto”. Se pensate a Jordan, non lo ricorderete per il tiro sbagliato all’ultimo secondo di gara 1 del 1991 contro i Lakers, ma per i 6 titoli NBA vinti, oltre a tutto il resto (che – credetemi – non è poco).
La vittoria, il canestro segnato all’ultimo secondo, non è altro che la cima di un enorme iceberg, una parte visibile che in realtà nasconde un enorme lavoro sommerso fatto di sudore, sfide, sveglie all’alba, infortuni, feroce abnegazione e dedizione e, soprattutto, di sconfitte subite. Le sconfitte – siano esse sportive, personali o professionali – fanno parte della nostra vita, anzi sono parte integrante della nostra vita. Il vero volto delle persone è visibile quando perdiamo, quando siamo a terra. È proprio lì che possiamo capire di quale pasta siamo fatti, di come possiamo trarre insegnamento dall’amaro sapore della sconfitta.
Possiamo fare come la maggior parte delle persone: lamentarci, dare la colpa agli altri, ai compagni di squadra, all’arbitro, o a chi volete voi. Oppure fare una lucida analisi e tentare di capire per quale motivo non abbiamo vinto, e lavorare tenacemente per far sì che da punto di debolezza si trasformi in punto di forza, così che la prossima volta il risultato si ribalti.
Ma il nostro vero lato umano e sportivo si palesa anche quando da vincenti abbiamo a che fare con i vinti, quando si disperano davanti a noi quando il cronometro segna 00.00. Come ci comportiamo con loro? Il nostro atteggiamento nei loro confronti è la nostra vera anima. Potremmo ignorarli, potremmo esultare davanti a loro irridendoli, sbeffeggiarli, perfino insultarli. Oppure potremmo capire che ci saremmo potuti essere noi al posto loro se solo un episodio fosse andato in un altro modo. Potremmo aiutarli a rialzarsi, rincuorarli, dando loro fiducia e incoraggiandoli a fare meglio e diventare più forti. Questa cosa rende l’avversario migliore, ma soprattutto rende noi stessi persone migliori, che è la cosa più importante, perché un conto è la vittoria, un altro è la crescita umana, mia e del mio avversario.
Personalmente non sopporto vedere chi ha perso togliersi dal collo la medaglia d’argento. La vedo come una sconfitta non solo sportiva, ma personale. Quando giochi una partita, bisogna mettere in conto la sconfitta come possibilità. È la stessa dicotomia della vita e della morte. Non puoi avere paura della morte se hai vissuto una buona vita, se l’hai spesa bene.
Allo stesso modo, il secondo posto non è un disonore. Non è il singolo episodio che ti qualifica, ma il percorso che hai svolto per arrivare fino a lì che lo fa. Diceva Winston Churchill: “Il successo non è definitivo, il fallimento non è fatale: ciò che conta è il coraggio di continuare”. E per continuare bisogna capire, analizzare, allenarsi sui nostri punti di forza e migliorare le nostre debolezze, ogni giorno, costantemente, anche (soprattutto?) quando siamo stanchi, non abbiamo voglia o quando le condizioni ci sono avverse.
Uno sport di squadra è una palestra incredibile per allenarci per questo percorso. Negli sport di squadra, la sconfitta assume una connotazione ancora più profonda. L’unione e il sostegno reciproco tra compagni diventano fondamentali per superare le avversità e rafforzare il senso di coesione ed appartenenza. Muhammad Ali sosteneva: “L’uomo solo non ha mai vinto una guerra”. La sconfitta condivisa diventa un’esperienza di crescita collettiva, un momento in cui si impara a fare affidamento gli uni sugli altri e a stringere legami indissolubili.
Però potrebbe diventare semplice nascondere i nostri personali fallimenti all’interno della squadra. La cosa più semplice del mondo sarebbe stemperare le nostre mancanze nel collettivo, dando in qualche modo la colpa agli altri invece che assumerci le nostre responsabilità. Ricordo un testo di Jovanotti di parecchi anni fa nella canzone “Barabba” nel quale diceva: “Cerca di essere uomo prima di essere gente!”. Dino Meneghin – il miglior giocatore di basket italiano – segnava sempre su un taccuino il proprio rendimento in campo dopo ogni partita, mettendo un segno meno, uno zero o un più. Ma il suo criterio di valutazione era improntato al miglioramento: lo zero non era una partita nella media lui, ma una nella quale aveva giocato bene, ad un livello per lui elevato. Quando segnava zero sul suo taccuino voleva dire che aveva fatto una gran partita, perché quello era il suo standard: il suo valore come giocatore era elevato e tale doveva essere il suo rendimento.
Il segno meno era quando non riusciva a dimostrare le sue capacità in campo, quando svolgeva normalmente il suo lavoro. Sul suo taccuino i segni più erano pochissimi, una manciata, perché significava che aveva fatto partite superlative e questo, nella vita di uno sportivo, capita veramente pochissime volte.
La sconfitta non è un marchio indelebile, ma un’opportunità per crescere e migliorarsi. Lo sport, con la sua capacità di forgiare il carattere e insegnare il valore della perseveranza, rappresenta una preziosa preparazione alla vita. Nelson Mandela soleva dire “Io non perdo mai, o vinco o imparo”. La cosa bella dello sport (e anche della vita) è che finito un campionato ne comincia subito un altro.
Lo sport, tra l’altro, è una straordinaria maestra di vita su molte altre tematiche che saranno importantissime nella vita da adulti e in ambito professionale. Vediamole in dettaglio:
1. Imparare a gestire le emozioni
Lo sport ci mette di fronte a tantissime emozioni, dalla gioia della vittoria alla delusione della sconfitta. Riuscire a dare il meglio di noi stessi sotto stress è una capacità che sarà fondamentale per il futuro. Se siamo in grado di giocare dando il massimo nonostante la pressione della squadra avversaria e dei suoi tifosi, il fatto che sia una partita da “dentro o fuori”, allora saremo sicuramente in grado da adulti di affrontare situazioni professionali complesse e in ambienti di lavoro difficili semplicemente perché abbiamo già vissuto questi meccanismi tempo prima.
2. Sviluppare la disciplina e la perseveranza
Per raggiungere i propri obiettivi nello sport, è necessario impegno, dedizione e la capacità di perseverare di fronte alle difficoltà. Tutte queste qualità sono preziose anche nella vita quotidiana. I colleghi di lavoro che non collaborano, i problemi personali che distolgono dall’obiettivo, i mille ostacoli quotidiani sono solo alcuni delle distrazioni che ci possono allontanare dalla nostra meta.
3. Imparare a lavorare in squadra
Negli sport di squadra è fondamentale saper collaborare con i propri compagni per raggiungere un obiettivo comune. Questo insegnamento è la base fondante per il mondo del lavoro. La reciproca fiducia, la condivisione degli obiettivi, il sapersi affidare agli altri e sapere che vi sarà reciproco aiuto è il muro maestro sul quale poter costruire il lavoro in team, senza il quale nessun obiettivo potrà mai essere raggiunto.
4. Acquisire fiducia in sé stessi
Lo sport ci permette di mettere alla prova le nostre capacità e di poter raggiungere obiettivi, aumentando la nostra fiducia in noi stessi e nelle nostre possibilità. Ciò che sembrava impossibile, con l’aiuto dell’allenamento, dei compagni e dell’allenatore improvvisamente è raggiungibile.
5. Insegnare il rispetto delle regole e degli avversari
Si vince e si perde sempre seguendo le regole, senza facili scorciatoie o sotterfugi, in maniera pulita e senza l’uso di farmaci o sostanze dopanti. Non impareremmo nulla da questi espedienti e rovineremmo la nostra vita e il nostro percorso di crescita.