Vi ricordate la fotografia che è stata pubblicata nello scorso articolo di luglio? Ogni volta che la guardo (e che vi ripropongo), non riesco a non rimanere meravigliato per la gioia che il bambino di destra sta urlando al mondo.
Nel nostro sistema valoriale, il terzo classificato non dovrebbe nemmeno esultare, attività riservata in via esclusiva a chi ha vinto. Eppure questo bambino esulta, anche in maniera esagerata, e lo si evince bene guardando l’espressione del primo classificato mentre lo guarda, quasi a voler dire: “Quello che stai facendo tu lo dovrei fare io, mi stai rubando la scena!”.
Negli occhi di questo bambino si vede la vera felicità di una persona che ha terminato una sfida ed è sprizzante di gioia, una felicità quanto mai contagiosa per chi osserva. Non ha vinto in senso assoluto, ma è come se lo avesse fatto dalla sua reazione. Cosa sappiamo di questo bambino? Magari era destinato ad arrivare ultimo, e il suo terzo posto è totalmente inaspettato, chissà. Ma non è questo il punto. Ciò che è certo è che ha qualcosa da insegnarci: è felice. Molto.
Qual è il segreto della felicità?
Molte persone darebbero una risposta molto facile: i soldi. Spesso si sente dire che i soldi fanno la felicità, che è meglio piangere su un’auto sportiva che per strada con le scarpe bucate. Sicuramente questa affermazione ha un fondo di verità, nel senso che i soldi sono una base fondamentale per soddisfare i bisogni primari dell’essere umano, come mangiare, dormire e vestirsi. Ma una volta che queste esigenze sono soddisfatte, siamo sicuri che automaticamente la strada per la felicità sia spianata?
Molteplici sono gli esempi di persone molto ricche che si sono rifugiate nella droga, che hanno avuto bisogno di supporti psicologici e farmacologici per combattere momenti difficili della propria vita o che addirittura si sono tolte la vita. Quindi i soldi non sono la chiave per la felicità; possono aiutare, possono procurare piacere, ma non sono certamente la molla propulsiva per la felicità, che dobbiamo ricercare da qualche altra parte.
Nostalgia e felicità
Un’interessantissima ricerca di YouGov rielaborata dal Washington Post ha cercato di capire quale fosse il decennio migliore di sempre secondo i cittadini statunitensi. Analizzando i dati e destrutturandoli, gli analisti si sono resi conto che gli intervistati non provano nostalgia per un decennio in particolare, ma tendenzialmente per i decenni della loro giovinezza. Le pagine social che mettono a confronto gli anni passati con l’attualità sono zeppe di commenti nostalgici che celebrano la felicità percepita di quando eravamo adolescenti o giovani.
Ma è veramente così? Sono nato e cresciuto a Milano e mi ricordo bene gli anni ’70 e ’80, gli anni della mia giovinezza. Eppure riscontro sempre una visione distorta da parte della stragrande maggioranza delle persone di come fosse bello il capoluogo lombardo in quegli anni, di come fosse molto più sicuro di oggi, più vivibile e così via. Mi spiace deludere i lettori, ma Milano in quegli anni era un incubo per la sicurezza, così come Roma, Torino, Genova e altri posti, a causa del terrorismo – sia esso di sinistra, di destra o di Stato – dei rapimenti, della malavita organizzata, delle manifestazioni di massa che sfociavano immancabilmente in atti violenti.
Una fotografia perfetta di questo fenomeno è offerta da Zygmunt Bauman, sociologo e filosofo polacco scomparso qualche anno fa: c’è una particolare malattia di cui soffre l’uomo occidentale, la “retrotopia”, ovvero un’utopia rivolta al passato. Si tratta dell’incapacità di guardare al futuro con speranza e fiducia, preferendo rivolgere lo sguardo verso un passato idealizzato, che appare ai nostri occhi come qualcosa di confortante e in cui rifugiarci.
Il prezzo della felicità nel presente
Il problema è esattamente questo: non siamo capaci di godere appieno del presente e idealizziamo il passato dandogli dei connotati mai esistiti. Eravamo felici perché giovani, non perché la situazione era migliore. La mancanza di accesso alla felicità nell’oggi fa sì che il passato venga distorto, plasmandolo nella nostra personale visione e confondendo la realtà di allora con la nostra percezione di giovani entusiasti e carichi di vita.
L’incontro con la felicità
Qual è, dunque, la chiave per la felicità? Uso molto Amazon per i miei acquisti e tra le varie persone che vengono a casa mia per le consegne ce n’è una in particolare che mi colpisce, sempre. Si tratta di un signore con un nome arabo, alto, con capelli grigi, barba dello stesso colore discretamente curata e porta gli occhiali. Un bell’uomo, più nel suo modo di essere che dal punto di vista estetico. Ma ha una cosa che l’enorme maggioranza delle persone non ha: sorride sempre.
A memoria non ricordo di averlo mai visto non sorridere, non salutare, non essere gentile. Lo incontro spesso anche quando sono in giro a fare due passi in centro e sorride a tutti, salutando e venendo salutato, sempre con gioia e rispetto. È sempre felice e sereno nei confronti di tutti. La mia netta impressione è che sia soddisfatto della sua vita, sia privata che professionale.
Essendo lui musulmano, mi sono incuriosito e ho provato ad approfondire in rete il significato della felicità nel mondo arabo e ho trovato una definizione che voglio condividere. La contentezza, o “qana’a” in arabo, è uno stato di soddisfazione interiore e gratitudine per ciò che Allah ci ha fornito. È una mentalità che ci permette di apprezzare il momento presente e trovare gioia nelle cose semplici della vita.
La chiave per la felicità
Questo concetto non è solo presente nella cultura araba, ma anche in quella persiana. “Spostiamo la nostra attenzione da ciò che ci manca a ciò che abbiamo” credo sia la chiave della felicità. Badate bene, non vuol dire accontentarsi, ma godere di ciò che abbiamo, sia in senso materiale che in senso emotivo.
In questo senso, risulta evidente che i soldi non possono – se non in misura minima – contribuire alla felicità. Allo stesso modo, questo concetto non vuol dire fermarsi e non aspirare a nuovi desideri e nuove opportunità per accrescere la felicità, nostra e di chi ci circonda. Ma questa ricerca non deve essere un’ossessione, bensì un sogno.
Un’esperienza rivelatrice
Ricordo che molti anni fa, era l’anno 2000, mi trovavo a Roma. A quei tempi lavoravo in una importante società di consulenza internazionale e aspettavo un taxi per andare in aeroporto e tornare a casa. In lontananza scorgo arrivare il taxi, una Fiat Tempra tutta scassata, arrugginita. Salgo e mi accoglie un tassista col quale comincio a parlare.
Durante la tratta, mi dice che la mia sarebbe stata la sua ultima corsa della giornata perché, tutto sommato, la mia corsa inaspettata in aeroporto gli avrebbe permesso di poter interrompere la giornata lavorativa con soddisfazione. Quindi avrebbe telefonato alla moglie dicendole che sarebbe passato a prendere lei e la figlia e sarebbero andati a camminare sul lungomare mangiando un gelato in un pomeriggio soleggiato.
In quel preciso momento non ho potuto non guardare me vestito con un completo grigio molto business, tutto orientato alla carriera e alla continua ricerca di una crescita personale e professionale, e questo signore, vestito in maniera improbabile, che guidava un’auto tutta scassata e che mi aveva dato una lezione di vita memorabile: la soddisfazione in lui per aver concluso la giornata e di potersi godere gli affetti che lo circondavano era estremamente palpabile e contagiosa.
Il segreto della felicità
Credo che il segreto per trovare la felicità sia estremamente semplice: godere appieno di quanto ci circonda senza dover affannarsi in una continua ricerca di cose nuove. Se non siete felici, provate a fermarvi e a guardarvi intorno. Mi rendo conto che questa azione sia più facile a dirsi che a farsi, ma – come diceva Albert Einstein – “follia è fare sempre la stessa cosa aspettandosi risultati differenti”.