Chi conosce bene <strong>Giovanni Arvedi </strong>(l’industriale cremonese a capo di un gigante siderurgico che fattura 7,5 miliardi e conta 6.600 dipendenti in Italia) sostiene che, dopo aver mangiato il duro pane delle serie C e B, e dopo aver riportato la Cremonese in A, una volta passata anche l’euforia per quest’ultimo obiettivo centrato, il Cavaliere potrebbe annoiarsi nel presiedere una squadra che per qualche anno dovrebbe accontentarsi di salvarsi. Un amaro prezzo che Arvedi accetterà di pagare? Probabilmente no. E allora non è un’utopia pensare che anche lo Zini un giorno che a Cremona sperano non lontano potrebbe diventare il palcoscenico di partite di Champion League con avversari come il Real Madrid, il Psg o il Mancester.
E’ già successo con squadre non di prima fascia. Qualche anno fa, infatti, l’Udinese della <strong>famiglia Pozzo </strong>ha frequentato la Champions nelle stagioni 2005-2006, 2011-2012 e nel 2012-2013 confrontandosi, tra gli altri, con Barcellona, Arsenal, Atletico Madrid e Sporting Lisbona. Erano gli anni in cui i Pozzo chiudevano spesso in attivo i bilanci del club bianconero, anche grazie alle plusvalenze del calcio mercato. Gli ultimi anni, invece, causa anche il Covid, sono stati più difficili per il sodalizio friulano: secondo un’analisi di «Calcio&Finanza», l’Udinese ha chiuso il bilancio al 30 giugno 2021 con il rosso più elevato nell’era Pozzo, pari a 36,8 milioni di euro, dopo aver chiuso in perdita anche l’esercizio al 30 giugno 2020 per 10 milioni. Eppure questo club per anni è stato un modello da seguire per le società di calcio provinciali.
Il suo posto è stato rilevato dall’Atalanta che ha giocato in Europa League nelle stagioni 2017-2018 e 2018-2019, poi in Champion League nelle stagioni 2019-2020 (arrivando ai quarti di finale), 2020-2021 (fermandosi agli ottavi di finale) e, infine, nel 2021-2022 (non superando, però la fase a gironi) battendosi, tra gli altri, contro Manchester City, Valencia, Psg, Ajax, Liverpool, Real Madrid e Villarreal. In campionato ha raggiunto il terzo posto per tre volte di fila nelle stagioni 2018-2019, 2019-2020 e 2020-2021 subito dietro, di volta in volta, a grandi club come Juventus, Inter, Milan, Napoli. Non male per una sodalizio che, per dimensioni complessive, da sempre è sempre stato considerato fra quelli che dovrebbero lottare per non retrocedere. Cerchiamo, quindi, di capire se il “miracolo” Atalanta potrebbe ripetersi a Cremona seguendo la traccia delle briciole che il Pollicino bergamasco ha lasciato sulla sua strada verso il successo. Tutto è cominciato 12 anni fa, quando il 3 giugno 2010 <strong>Antonio Percassi </strong>acquistò il club dalla famiglia Ruggeri e diventò presidente del club nerazzurro, sprofondato in serie B. Classe 1953, ultimo di una famiglia di 6 figli, ha esordito nell’Atalanta a soli 17 anni. Difensore arcigno, ha voluto concludere la sua carriera a 23 anni quando ha preferito appendere le scarpette al chiodo per diventare imprenditore. E da presidente, negli anni che vanno dal 2010 al 2015, ha assunto come allenatori <strong>Stefano Colantuono </strong>ed <strong>Edoardo Reja</strong>. Infine il 14 giugno 2016 ha ufficializzato come tecnico dell’Atalanta l’attuale mister, <strong>Gian Piero Gasperini</strong>.
Un inizio di stagione disastroso. Così, dopo la sconfitta casalinga con il Palermo (0-1) era il 21 settembre, un mercoledì con la squadra finita al penultimo posto, tutti pensavano che il siluramento del “Gasp” fosse solo questione di ore. Infatti, alle ore 11 di giovedì 22 settembre, l’allenatore venne convocato nella sede dell’Atalanta, al centro Bortolotti di Zingonia, dal presidente Percassi che aveva al suo fianco <strong>Giovanni Sartori</strong>, responsabile dell’area tecnica del club nerazzurro, l’uomo del calcio mercato insomma.
Invece di procedere all’esonero, Percassi estrasse un biglietto dalla tasca della giacca nel quale era scritto con frecce, nomi e cifre il percorso di risalita dell’Atalanta. «Alle cifre e agli uomini da comprare ci pensiamo noi» sottolineò il presidente, «mentre lei ha carta bianca per quanto riguarda le formazioni e le strategie in campo». Schemi vincenti, quelli di Gasperini, che diventeranno il marchio di fabbrica dei nerazzurri in tutto il mondo: gioco spettacolare, forte aggressività e marcature stringenti a tutto campo, calciatori furiosamente in avanti a caccia del pallone, giocatori liberi di inserirsi in tutto il campo e squadra capace di mordere sulle fasce anche a costo di scoprirsi in difesa. «Giocare con l’Atalanta è come andare dal dentista; anche se ne esci indenne, il male lo senti comunque» disse un giorno <strong>Pep Guardiola</strong>, allenatore del Mancester City. Ma è storia di oggi.
Invece, in quella giornata autunnale soleggiata del 22 settembre 2016, se nessuno dei tre personaggi riuniti intorno al tavolo rotondo nell’ufficio del presidente poteva prevedere quale sarebbe stato il futuro dell’Atalanta, solo di una cosa erano certi: per poter iniziare un ciclo vincente, l’Atalanta doveva vincere “senza se e senza ma” la partita contro il Crotone che si sarebbe disputata quattro giorni dopo il loro incontro, il 26 settembre, di lunedì, sul campo neutro di Pescara. Una sfida da bassofondo di classifica.
Questa gara divenne la “sliding door” per Gasperini che la vinse a bottino pieno (3-1). In campo c’erano alcuni uomini che, poi, diventarono famosi a livello mondiale: Freuler, Toloi, Papu Gomez, Spinazzola, Kessie, Petagna. L’anno dopo arrivarono Palomino, Bastoni, Mancini, Pessina, Hateboer, De Roon, Gosens e Ilicic. Infine, nel 2028 e nel 2019, troviamo in squadra anche Zapata, Pasalic, Muriel, Kulusevski e Malinovskyi. Dunque, ecco qual è il segreto del successo atalantino che si può replicare anche a Cremona: la capacità di individuare giocatori non di prima fascia, di saperli proiettare nel calcio che conta e di cederli a caro prezzo incrementando le plusvalenze. A chi va il merito di questa strategia aziendale? In gran parte a Gasperini che ha saputo valorizzare i calciatori non ancora famosi e arrivati da ogni parte del mondo, ma anche alla “cantera” bergamasca che ogni anno si trasforma in una miniera inesauribile di talenti che si producono con una costanza impressionante. Basti pensare -. solo per fare un esempio ad <strong>Alessandro Bastoni </strong>e <strong>Roberto Gagliardini</strong>, da Casalmaggiore e Dalmine, ceduti all’Inter a caro prezzo, ma forgiati fin dai 7 anni a Bergamo.
Eh sì. Il miracolo Atalanta poggia anche su invidiabili conti economici. La Dea, infatti, è diventata nel tempo una bottega carissima che ha sempre ceduto a peso d’oro giocatori acquistati a poco senza mai pentirsene. Facciamo allora due conti. «L’Eco di Bergamo», il quotidiano principale della città orobica, spulciando il bilancio della società del 2021, ha scritto che «i ricavi dell’Atalanta sono passati da 241,9 milioni del 2020 a 242,670 milioni del 2021. Erano di 188,6 milioni nel 2019 e di 155,7 milioni nel 2018. Le sponsorizzazioni si sono impennate da 18,2 a 28,2 milioni».
Sempre dall’«Eco di Bergamo»: «L’utile di 35,1 milioni è andato ad aumentare il patrimonio netto, balzato da 129,3 a 165,2 milioni di euro. I debiti sono diminuiti da 161 a 149 milioni». Ma quanto vale oggi l’Atalanta? Il suo valore è stato giudicato superiore ai 500 milioni. Ottenuto grazie anche alla gestione oculata dei Percassi, padre e figlio, e dell’allenatore.
E la Cremonese? Oggi il suo valore dovrebbe quantificarsi intorno ai 75 milioni, ma i beni fissi, come lo stadio rinnovato (costato 5 milioni) e lo splendido centro sportivo «Giovanni Arvedi», oltre al settore giovanile pensato per 250 ragazzi, sono la garanzia che il Cavaliere guarda lontano e non intende restare impastoiato nelle sabbie mobili della lotta per la salvezza. Altrimenti perché avrebbe scelto un consulente di statura internazionale come <strong>Ariedo Braida</strong>, leggendario direttore sportivo del Milan negli anni d’oro ed ex consigliere calcistico del Barça?
È inutile negarlo: l’ambizione di Arvedi è quella di costruire una Cremonese vincente che possa contribuire a rilanciare a livello internazionale il marchio Cremona, come è già successo, grazie alle sue sostanze, con il Museo del violino e con il nuovo campus dell’Università Cattolica all’interno del rinnovato ex monastero di Santa Monica.