A colloquio con i soci dello studio Mazzoleni-Ferri

Commercialisti, non solo bilanci e F24

Come far carriera, aprire un ufficio tuo e guadagnare

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Tra le professioni più conosciute c’è quella del commercialista. E’ un “mestiere” che fa guadagnare buoni stipendi e si può considerare un’attività innovativa? Vediamo, partendo dalla domanda fondamentale: come si diventa dottori commercialisti?

Bisogna studiare. E’ necessario laurearsi in Economia e Commercio e fare il praticantato in uno studio di commercialista o da un commercialista professionista per 3 anni (stipendio da 500 a 1.200 euro) e, infine, superare l’esame di Stato per essere, infine, iscritti all’apposito Albo professionale della categoria per esercitare la professione.

«A questo punto» precisa Stefano Mazzoleni, titolare dello Studio associato Mazzoleni-Ferri a Bergamo, insieme ai suoi due soci (Elena Mazzoleni Tiziano Ferri), «si può rimanere a lavorare come professionisti dipendenti nello studio in cui ci si è formati o in grandi studi, oppure aprirne uno di proprietà». Il consiglio? «Meglio lavorare in un ambiente che permette di fare esperienza prima di poter volare con le proprie ali» suggerisce Elena Mazzoleni. «Io, per esempio, sono stata a lavorare in Deloitte per impratichirmi del mestiere», cioè in una delle Big Four società mondiali di revisione contabile.

In concreto, che cosa fa un commercialista? «E’ un professionista che svolge un’attività di consulenza in ambito commerciale, fiscale, societario e del lavoro e gestisce una serie di attività quali la tenuta della contabilità, la predisposizione del bilancio di esercizio e della dichiarazione dei redditi, la redazione dei libri contabili» spiega Tiziano Ferri.

In Italia, secondo i dati del loro Consiglio nazionale, nel 2021 i commercialisti che si spartiscono il mercato hanno superato quota 120mila (e precisamente 120.262). E sono aumentati anche gli iscritti al Registro praticanti (+7,9%) che hanno sfiorato la cifra di 14 mila unità. Smentendo, quindi, per il momento, le voci di una professione in crisi, anche se si avvertono nubi temporalesche all’orizzonte che avvertono di una crisi di vocazioni. La fotografia che ne emerge è quella di un professionista “tuttofare” che nel 71% dei casi lavora in studi medio-piccoli (anche con meno di tre addetti). «Noi siamo i medici delle imprese» sintetizza Ferri. «Se la marginalità di un’azienda è franata, ci basta uno sguardo al bilancio per sapere come andrà a finire».

Preparati certamente, ma sottoposti agli stress provocati anche dall’affollamento del calendario delle scadenze. Oltre 160 adempimenti fiscali solo tra il 20 di agosto e la fine del mese. Aiuti a pioggia da chiedere, documenti e scartoffie a pacchi per cercare di intercettare gli aiuti di Stato per la pandemia e il caro-energia. Oltre alla normale amministrazione, che già di per sé è complessa. Eppure, come i camerieri per i ristoranti, si rischia di andare incontro a una carenza di materia prima: i lavoratori.

I dolori dei commercialisti hanno una serie di cause. «Da una parte, tutti hanno bisogno di noi» ragiona Stefano Mazzoleni, «ma la categoria si lamenta di non riuscire ad avere la giusta retribuzione per la mole di lavoro che produce». Il motivo? Tanti. «Paghiamo cari la forte concorrenza delle grandi società di revisione e consulenza, ma anche la concorrenza sleale e l’abusivismo» precisa Elena Mazzoleni. I commercialisti professionisti, infatti, puntano spesso il dito contro i Caf e i reparti di “paghe e contributi” delle associazioni di categoria dove il rapporto con i clienti viene tenuto da dipendenti che non sono certo laureati in Economia e Commercio, contro le libere associazioni professionali non regolamentate che fanno lo stesso lavoro dei commercialisti, ma senza averne i titoli.


Ma quali caratteristiche devono avere questi professionisti?

«Devi essere molto attento e preciso» precisa Stefano Mazzoleni. «Essere sempre concentrato, “lavorare nel qui e nell’ora” come si dice in gergo». Ma anche «essere corretti negli adempimenti da svolgere che sono sempre precisi, offrire un servizio puntuale ai clienti e consigliar loro scelte operative giuste» aggiunge Elena Mazzoleni. Infine, conta anche la passione per questo mestiere. «A me piacevano finda ragazzino la matematica e le materie economiche» ricorda Tiziano Ferri. «Bisogna saper essere giovani nell’utilizzare la tecnologia, ma anche avere i capelli grigi nel dare gli opportuni consigli grazie all’esperienza maturata nel tempo». Loro, i tre soci, negli anni hanno saputo pianificare un’organizzazione aziendale che oggi funziona come

un orologio svizzero fra scadenze e procedimenti e nel gestire una clientela che va dalle partite Iva forfettarie alle aziende e alle Pmi con un fatturato massimo di 10 milioni. «C’è chi puoi sentire solo due volte l’anno e chi devi prenderlo a braccetto tutti i giorni» sottolinea Stefano Mazzoleni. Ma non è sempre stato così. «Abbiamo iniziato in una stanza dataci in affitto da un avvocato» ricordano Stefano ed Elena Mazzoleni. «Io avevo sistemato la cucina ad ufficio» rammenta Tiziano Ferri.

Due flashback per ricordare che per un giovane agli inizi della carriera – a meno di non avere già lo studio ben avviato di un parente stretto – è difficilmente sostenibile dal punto di vista economico trovarsi nello stesso tempo una location, possedere strumenti tecnologici adeguati e una struttura informatica, pagare l’iscrizione all’Ordine e l’assicurazione obbligatoria, senza contare il costo del personale che rappresenta la spesa più grossa.

Che fare all’ora? «Bisogna cominciare a portare nello studio dove si lavora alcuni clienti da gestire, dai 10 ai 15 per esempio. Quando, poi, si è sicuri di potercela fare professionalmente, si lavora in proprio» esorta Stefano Mazzoleni. «Trovando anche una propria specializzazione, anche se in questa professione non ne esiste alcuna regolamentata» avverte Elena Mazzoleni. Per esempio? «Si può diventare esperti nel contenzioso tributario, nei fallimenti, nelle micro imprese artigiane, nelle piccole aziende o nel controllo di gestione».

E l’ufficio si ingrandirà se il commercialista saprà relazionarsi con i clienti. Il che significa soprattutto ascoltarli, seguire le loro storie personali, i loro progetti imprenditoriali, partecipare alle loro sfide

Nulla è facile, comunque. Già da qualche tempo, però, gli studi di singoli professionisti si stanno unendo («le Stp, società tra professionisti, sono cresciute del 19,4% oltrepassando le 1.400 unità» ha scritto il Consiglio nazionale dei commercialisti) anche perché gli imprenditori pretendono di avere un unico interlocutore per affrontare le diverse problematiche di loro interesse. Sono, insomma, disposti a pagare di più per la consulenza a valore aggiunto, non solo per gli adempimenti. Quindi gli studi di commercialisti potrebbero diventare società di servizi che inglobano più figure professionali, dall’avvocato al consulente del lavoro.

Potrebbe essere questa la strada per aumentare fatturati e ricavi? Può darsi. Ma al di là degli onorari, Tiziano Ferri mette in risalto un lato positivo della professione: «Non sei sotto padrone, gestisci i tuoi orari, sei stato comunque capace di aprire una tua attività, la mattina quando ti alzi sai sempre dove andare a lavorare, non ti annoi perché i clienti, anche dal punto di vista umano, sono diversi uno dall’altro».

E ancora, interviene Elena Mazzoleni, «quando ha analizzato almeno 200 diversi bilanci nello studio di un bravo commercialista, un giovane è pronto per proporsi come direttore amministrativo, molto richiesto e ben retribuito, nelle imprese medio-grandi».

Lo staff dello Studio associato Mazzoleni-Ferri di Bergamo
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