«Conta il merito, non il cognome»

Alberto Auricchio, amministratore delegato della “Gennaro Auricchio Spa”, ha raccontato al convegno organizzato da Cassa Padana i ricambi generazionali avvenuti nella sua impresa.

Facebook
Twitter
LinkedIn
Pinterest
Pocket
WhatsApp

«Quando fra noi tre fratelli il legame diventò fortissimo». La trafila che devono superare figli e nipoti per entrare in azienda e la gavetta da fare una volta dentro.

Il bene dell’azienda è superiore al bene del socio. Da brillante oratore, capace di tenere incollati alle poltrone per 30 minuti circa i 200 partecipanti in gran parte imprenditori al convegno organizzato nella sua sede centrale a Leno (Brescia) da Cassa Padana dal titolo «Governance e continuità generazionale nelle imprese familiari», Alberto Auricchio, 63 anni, laureato in Economia e Commercio a Parma, amministratore delegato della “Gennaro Auricchio Spa” («quella dei provoloni ancora fatti a mano» ha tenuto a precisare) ha raccontato i momenti nevralgici dei passaggi generazionali dell’azienda aiutandosi con alcune frasi di profonda e indiscutibile verità e anche ad effetto. Ricordi amari, ma anche galvanizzanti, capaci di fare da spartiacque tra un prima e un dopo. Come quelli dei primi anni Novanta. «Si sa che quando le cose vanno bene, tutti baci, abbracci e pacche sulle spalle, ma quando cominciano ad andare male… L’economia veniva da una grave crisi iniziata nel 1989 e, poi, proseguita nel 1990 e 1991. L’azienda era divisa esattamente a metà: il 50% lo deteneva mio padre Gennaro, l’altro 50% lo possedeva un gruppo familiare composto da zii e cugini. Era il 1992: i parenti ci comunicarono di aver venduto la loro quota ai francesi. Mio padre fece un salto sulla sedia: “Ma perché non avete venduto a noi? ” chiese inutilmente. Allora non esisteva il diritto di prelazione e il diritto di gradimento». Come andò a finire? «Fu a questo punto che mio padre a 82 anni, grande imprenditore, decise di comprare il 50% dai francesi (che non volevano andare incontro a eventuali e lunghe cause nei tribunali, ma anche preoccupati di avere un socio al 50% scontento e arrabbiato) pagandolo ovviamente di più di quanto zii e cugini l’avevano venduto, e ricomponendo la proprietà in un unico nucleo familiare come lo era nel lontano 1877, l’anno in cui fu fondata l’azienda. Le trattive, però, si prolungarono per un anno che per noi fu un anno terribile con i manager che mandavano in giro i loro curricula e i dipendenti che erano nervosi perché nessuno poteva prevedere come sarebbe andare a finire l’intera vicenda. Ma qui viene il bello…».

Cioè? «Fra noi tre fratelli Antonio, Giandomenico e il sottoscritto -, che siamo la quarta generazione degli Auricchio, il legame divenne fortissimo e capimmo una volta per tutte che l’azienda è più importante della famiglia e, quindi, il passaggio generazione fu fulmineo e avvenne in modo naturale. Ecco spiegato il perché all’inizio ho detto: il bene dell’azienda è superiore al bene del socio. Come imprenditore devi avere una responsabilità sociale: con 500 dipendenti che lavorano insieme a te, e con altri 500 nell’indotto, non puoi scherzare. È vero che l’azienda è tua, ma non puoi fare quello che vuoi».

E oggi che una parte della quinta generazione è già entrata in azienda, come è stato il ricambio generazionale? Facile o complicato? «Noi fratelli, una volta presa in mano l’azienda e avendo figli minorenni, e viste le difficoltà incontrate con i parenti, ci preoccupammo del passaggio generazionale. Chiedemmo consiglio a due amici importanti: Bruno Lunelli dello spumante Ferrari e Mario Preve presidente di “Riso Gallo”. Ci consigliarono di preoccuparci in tempo e ci indirizzarono allo studio Ambrosetti («che è leader in questo campo»). In 8/9 mesi venne firmato il “Patto di famiglia”, coinvolgendo anche i ragazzi che avevano 14-15 anni, che portarono idee e suggerimenti. La condivisione, alla fine, fu totale».

Quale suggerimento ha dato Alberto Auricchio agli imprenditori arrivati a Leno? «Un Patto di famiglia è un abito sartoriale che viene realizzato su misura in base a specifiche esigenze. Per questo serve coinvolgere i migliori professionisti del settore. Qualsiasi cosa si riesca a prevedere prima e a normare con l’accordo di tutti, significa ridurre i problemi che potrebbero presentarsi più avanti. Fra le regole condivise che ci siamo dati c’è anche, e soprattutto, questa: nella nostra azienda si premia il merito. Qualsiasi padre sogna che il figlio entri e faccia carriera nella sua impresa, ma l’errore più grave è imporgli sia questo ingresso contro la sua volontà sia l’assunzione di futuri incarichi dirigenziali contro le sue capacità».

I parenti, insomma, devono fare la gavetta se vogliono entrare e, in futuro, occupare ruoli apicali nella “Gennaro Auricchio Spa” come spiega bene l’amministratore delegato dell’azienda: «Prima regola: per venire assunti, bisogna aver lavorato almeno 2 anni in aziende non del gruppo e aver meritato giudizi lusinghieri. Seconda regola: una volta assunti, lavorano non con il padre o lo zio, ma sotto la direzione di top manager ai quali spetta il compito di stilare la valutazione delle loro competenze, più o meno acquisite. Da noi vale il merito, non il cognome».

Facebook
Twitter
LinkedIn
Pinterest
Pocket
WhatsApp

Iscriviti alla nostra newsletter!

Iscriviti alla newsletter