In principio fu Torazzi a imbottigliare e vendere vini dalle “colline” di Trescore Cremasco. Erano i tempi dello slogan: “Torazzi che vino ragazzi”. Successivamente, fu la volta della Folonari, con tanto di raccomandazione: “Bere due volte al giorno, durante i pasti”, a commercializzare una produzione vinicola limitata: solo due appezzamenti di terra erano interamente dedicati alla vite, uno di 15 pertiche cum vitibus in filis spisis al Dosso Morone e l’altro a Offanengo Maggiore, di cinque pertiche.
La coltivazione intensiva della vite, nei secoli passati, era necessaria per difendere le preziose piante dagli animali e dalle scorrerie degli eserciti. Nel 1890, le ultime vigne, già devastate dalla filossera, si trovavano in grande difficoltà. Tra queste, la vigna di Romanengo, un tempo tra le più belle, svettava sulla Melotta. I vitigni locali, come la Balsamina, il Quarciano, la Rossere, la Settembrina, il Moscato e il Pignolo, stavano esalando l’ultimo respiro.
La Balsamina e il Moscato erano anche uve da tavola, mentre il Quarciano, purtroppo, dava un vino piuttosto scadente a causa del grosso acino acquoso. Il Pignolo, invece, garantiva la migliore produzione, essendo un tipo di Pinot. Nonostante le difficoltà, i vignaioli locali si accontentavano di ciò che la natura e il buon Bacco offrivano, poiché i vigneti erano solo una parte del paesaggio agricolo, dominato da altre coltivazioni.
L’eredità di Mario Barbieri e l’evoluzione della viticoltura cremonese
Il Cavalier Mario Barbieri, enologo, commerciante, oste, cuoco e ristoratore, che collaborò in passato con la Cantina Castello di Pandino, raccontava che fino al 1925 il vino era una produzione comune nelle cascine locali, dove ogni famiglia coltivava le proprie viti e gelsi. Barbieri ricordava che Cremona, con le sue numerose varietà di vite, era un tempo considerata la capitale del vino frizzante. Col tempo, il mercato si è evoluto, portando a una riconversione agricola a favore del mais, oggi coltivato in abbondanza.
Secondo Barbieri, la viticoltura richiede conoscenze tecniche adeguate e non ci si può improvvisare vignaioli. Anche Don Pier Luigi Ferrari, nel suo fascicolo “Le ìde, lebòte, i ustèr”, ha svolto un particolare censimento delle uve coltivate nel Cremasco: Grappello Ruperti, la varietà antenata dei moderni Lambruschi, e altre varietà come il Querciàt, la Berghemina, il Pignòl, la Rusèra, la Lambrosca, e l’Urmedèl. La filossera, arrivata nel XIX secolo, cambiò drasticamente il panorama vinicolo, introducendo nuove varietà come il Clinto e l’Uva Fragola.
Il passato e il presente della viticoltura cremasca
Spesso, attraverso i social, personaggi come Franco Bianchessi della Pro Loco di Crema e Antonio Bonetti, appassionato custode della memoria enogastronomica locale, hanno riportato alla luce la storia della viticoltura cremasca. Tra i documenti citati, vi è una pagina delle “Memorie del Conte Annibale Vimercati Sanseverino”, che racconta la produzione vinicola nel territorio di Crema.
Oggi, l’Istituto Agrario di Cremona e Crema, nelle zone di Madignano e Castelleone, continua la tradizione producendo vini dai vitigni Merlot, Cabernet e Sauvignon. Nel frattempo, la Cantina Caleffi di Spineda, una enclave cremonese in provincia di Mantova, sta portando avanti un progetto ambizioso: una Igt tutta cremonese. Davide Caleffi, responsabile delle pubbliche relazioni, ha spiegato che l’iniziativa potrebbe rappresentare una concreta opportunità per i giovani che vogliono avvicinarsi al mondo della produzione vinicola. La cantina si offre di fornire tutte le conoscenze necessarie, dalla burocrazia alle tecniche di produzione, e spera di collaborare con l’Istituto Tecnico Agrario per la creazione di un corso specifico dedicato all’enologia.
Un futuro vinicolo per Cremona
Oltre alla Cantina Caleffi, altre realtà vinicole locali come la Vinicola Ricordi e l’Azienda Giordano Torchio giocano un ruolo importante nel mercato enologico. Anche la famiglia Galbignani, con sede a San Martino in Beliseto (Castelverde), produce da quasi un secolo due linee di vini: “SecondoME” e “I vini di Bortolo”.
Infine, una curiosità storica riportata dal “Centro Ricerca Galmozzi” di Crema: negli anni ’70, il marchio Folonari, noto per i suoi vini economici, fu acquistato dal gruppo Internazionale Winefood S.p.A., che trasferì il centro d’imbottigliamento a Trescore Cremasco.
La storia del vino nel Cremasco è quindi ricca di tradizione, innovazione e storie personali che continuano a intrecciarsi, gettando un ponte tra passato e futuro.