Il 17 ottobre del 2014 hanno venduto la «Villa & Bonaldi», impresa di famiglia dal 1906, alla bergamasca Brembana Rolle. Poi, i due fratelli Cristiano e Luciano Villa sono rimasti ancora al loro posto nello stabilimento di Ricengo per 18 mesi con la carica di amministratori delegati, come da contratto. Infine, ognuno per la sua strada.
A distanza di otto anni dalla vendita dell’azienda, Cristiano Villa, 50 anni, non si è mai rammaricato di quella decisione o era il passo giusto da fare dal punto di vista imprenditoriale? E in questo lasso di tempo come è cambiata la sua vita? Lo abbiamo chiesto direttamente a lui.
Come ha vissuto la sua esperienza in “Villa & Bonaldi” prima al fianco di suo padre e poi come amministratore delegato dell’azienda? «La mia esperienza in “Villa & Bonaldi” è stata formativa ed eccitante in tutti i sensi.
Non fu programmata, mi occupavo di un settore completamente diverso nell’ambito degli interessi di Famiglia; una serie di contingenze e di decisioni prese con mio padre e mio fratello mi portarono in azienda nella posizione di amministratore delegato e di responsabile delle attività commerciali.
Mi ricordo ancora la frase di mio padre con cui mi diede l’investitura: “Domani parti per Londra , abbiamo una trattativa importante, quando tornerai avrai capito se avrai un lavoro o se dovrai cercartene uno”.
Ho in mente ancora tutto di quella trattativa, sapevo pochissimo di scambiatori di calore, ero ovviamente affiancato dal fidato direttore commerciale dell’azienda e da un bravissimo preventivista, ma portavo sul biglietto da visita il nome dell’azienda e pertanto fui invitato in
forma privata dal responsabile della Shell alla decisione finale sul prezzo. Riuscii a cavarmela, tornai con un ordine vitale per l’azienda in quel momento e da allora mi innamorai di quel lavoro.
Seguirono anni di decisioni importanti e di problemi che sembravano insormontabili, ma che con il lavoro e il buon senso si risolsero e ci fecero crescere.
Gli anni più difficili furono quelli senza Papà, anche perché non ci fu la preparazione a un vero passaggio generazionale. Papà era una persona razionale che programmava tutto, ma non aveva mai contemplato l’ipotesi che avrebbe potuto ammalarsi e lasciarci prematuramente. L’organizzazione che aveva dato all’azienda di cui ormai mio fratello ed io eravamo parte integrante, i principi che ci aveva inculcato, furono i nostri più vitali alleati.
I Collaboratori più importanti si dimostrarono fedeli e al nostro fianco nel risolvere le problematiche che ogni giorno si ammassavano sulla nostra scrivania. Scoprii che mio
fratello ed io insieme funzionavamo bene, le nostre diversità caratteriali potevano essere sfruttate per il bene dell’azienda».
Quali sono stati gli insegnamenti di suo padre che le sono stati utili negli anni trascorsi alla “Villa & Bonaldi” e le sono preziosi ancora oggi?
«Tra le persone da cui ho imparato molto, mio padre è stato sicuramente il più importante, nonostante i suo modi spesso duri e decisi; se sapevi ascoltarlo, era una vera miniera di insegnamenti, specialmente per chi faceva l’imprenditore. Pretendeva da mio fratello e da me i medesimi rigore e rispetto che esigeva dagli altri dipendenti perché sono le persone che hai più vicino che devono mostrare la strada da seguire agli altri.
Alcune volte non ero d’accordo con lui sui modi usati nel dirimere alcune questioni relativamente al personale, li trovavo troppo duri o troppo teneri, ma lui mi rispondeva sempre allo stesso modo, mi diceva costan
temente che sul lavoro, come nella vita, bisogna essere giusti non buoni o cattivi.
La cultura del lavoro che aveva e pretendeva era la chiave del suo successo; non esiste modo per riuscire nel proprio lavoro senza fare fatica o senza assumersi grandi responsabilità, mi ripeteva questo concetto in continuazione».
Dopo aver messo la parola fine alla sua storia personale e imprenditoriale con “Villa & Bonaldi”, come si è sentito? Non si è mai rammaricato di quel passo?
«Vendere l’azienda che apparteneva alla mia famiglia da 4 generazioni non fu una decisione semplice. Anche in quella decisione, mio fratello ed io ci ricordammo di mio padre e dello spirito con cui aveva affrontato una possibilità simile proprio poco prima di ammalarsi.
Pochi sanno che pochi mesi prima che papà si ammalasse mi ero recato con lui in Arabia Saudita perché una società molto importante ci aveva fatto una proposta di acquisizione. Durante il viaggio, chiesi a mio padre se era un’ipotesi che avrebbe valutato e lui mi rispose che gli affari si fanno con il cervello non con il cuore.
Pochi sanno di questa vicenda perché sfumò a causa della sostituzione del Ceo di questa azienda saudita che se ne andò dal gruppo per diventare consulente della famiglia reale e lasciò il posto a un manager con il quale non avevamo la stessa empatia. Molti personaggi che vivevano nell’ombra di mio padre e che si accompagnavano a lui al solo scopo di trarne vantaggi o di sfruttarne la popolarità, ci criticarono fortemente per la vendita della “Villa & Bonaldi”, ma non mi sono mai curato di chi non considero e oggi rifarei la stessa scelta.
Abbiamo lasciato l’azienda nelle mani di un gruppo solido che continua ad operare con successo; l’abbiamo lasciata con lavori acquisiti per i successivi 20 mesi, nessun debito e una cifra considerevole di liquidità. Penso che questi dati parlino da soli; il resto sono chiacchiere».
Venduta, e poi lasciata la “Villa & Bonaldi”, si è preso del tempo per guardarsi attorno prima di decidere quali sarebbero state le sue prossime mosse, oppure aveva già dei progetti precisi da iniziare e sviluppare?
«Venduta l’azienda ero ovviamente disorientato, ma non credo nell’anno Sabbatico e penso che il cervello vada sempre sollecitato per non cadere in quella pigrizia che poi ne compromette il funzionamento. Rimasi nel settore sfruttando i contatti, le conoscenze e soprattutto il rispetto che mi ero conquistato negli anni di “Villa & Bonaldi”. Ho collaborato per 3 anni con un cliente della mia “vecchia” azienda; oggi rappresento alcune aziende del settore in Medio Oriente, in Cina, Kazakistan e Brasile».
Oggi dove vive e quali sono i suoi interessi e mercati con i quali si sta confrontando? E quali sono i settori nei quali ha investito in questi anni? E, ancora, quali sono gli ambiti che le hanno dato o le stanno dando le maggiori soddisfazioni professionali? Infine, con quali personaggi a livello internazionale ha i maggiori rapporti?
«Fino all’arrivo del Covid, ho lavorato principalmente con la Cina dove ho un partner locale e un contratto con una società statale che ci aveva affidato il compito di affiancarla nelle acquisizioni di aziende in Europa. Dopo l’avvento del Covid sono cambiate molte cose nel modo di operare delle società statali cinesi e ci stiamo concentrando più sul tentativo di attrezzare alcune realtà locali ad affrontare i mercati internazionali. Mi sto concentrando molto anche sull’Arabia Saudita dove sto fondando una società con un partner locale, proprio il Ceo di quella società che intavolò con mio padre la trattativa per acquisire la “Villa & Bonaldi”; ho sempre mantenuto rapporti con lui e oggi è un amico importante.
Ho due società a Miami, dove mi trovo ora, che operano nel mercato immobiliare, una proprietà a Buenos Aires che mi verrà consegnata a fine anno, poi mi dedico ad alcune mie
passioni che ho trascurato negli anni di “Villa & Bonaldi”: musica e fotografia.
Ho ceduto i diritti delle mie fotografie a una galleria di Milano che organizza alcuni eventi in cui vengono vendute allo scopo di raccogliere fondi da destinare a diverse attività benefiche. Sono, inoltre, socio di due case discografiche una a Los Angeles e l’altra a Milano nelle quali non opero in modo attivo, ma mi diverto a seguirne gli eventi e a dare le mie opinioni che vengono sempre sollecitate.
In questi 8 anni ho conosciuto persone di tutti i tipi, alcune di grandissimo spessore, ma è stato difficile capire le vere motivazioni di chi mi ha approcciato; il mondo è pieno di persone che promettono miracoli. Non investo con chi non si assume la stessa percentuale di rischio che mi chiede: è una regola che mi sono dato. Ho conosciuto uomini e donne incredibili, alcuni di loro mi hanno fatto crescere come uomo. Ho preso le distanze dal mondo politico nel quale non mi riconosco e che ho dovuto frequentare in passato per esigenze dettate dalle circostanze».
Che cosa vede nel suo futuro?
«Vedo il mio futuro lontano dall’Italia; il nostro paese rimane il più bello, ma ho viaggiato e sto viaggiando tantissimo ed è inevitabile fare paragoni. Non mi capacito di come nel nostro paese si riesca sempre a complicare le cose facili, di come continui a peggiorare la qualità della vita e di come poco siano tutelati coloro che rispettano le regole. Ho vissuto per alcuni mesi negli Emirati Arabi e ho capito che la qualità della vita sta soprattutto nel sentirsi sicuri e protetti. Poter dimenticare la porta di casa aperta o il portafoglio al ristorante con la certezza che lo ritroverai e che nessuno violerà mai ciò che è tuo è una sensazione meravigliosa. Non ritengo sia un problema essere monitorati h.24 se si rispettano le regole e si agisce in modo pulito.
Vorrei che mio figlio crescesse in una società meritocratica in grado di tutelarlo e di offrigli ciò che riesce a conquistarsi con il lavoro e la serietà».