Lo ha detto il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, riguardo agli istituti tecnici

«E’ la migliore scuola d’Italia»

All’Isis Natta prenderà il via un indirizzo di chimica all’avanguardia, in grado di formare studenti già pronti a lavorare nelle aziende del territorio. Il segreto di tanta notorietà? Siamo andati a scoprirlo.

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Scuola, università, mondo del lavoro: da tempo ci si sta interrogando sulla loro possibile collaborazione reciproca, così da ridurre il gap tra imprese e istituti scolastici, garantire ricadute economiche positive e un più alto livello occupazionale. Ma è possibile? Il sistema messo in campo dal territorio bergamasco ci porta a rispondere di sì. Si tratta di un sistema che ha preso il via negli ultimi anni del secolo scorso e che si è sempre rafforzato nel corso del tempo, tanto da essere ormai strutturale. Come attori principali vede alcuni istituti scolastici della provincia, alcune delle principali associazioni di categoria e il mondo universitario e ora potrà contare su un’ulteriore novità, un progetto che ha preso il via con il nuovo anno scolastico: un indirizzo con al centro il settore della chimica.

I protagonisti sono gli istituti scolastici Isis Natta di Bergamo (istituto capofila), l’Is Archimede di Treviglio e l’Itig Marconi di Dalmine; tutti e tre accomunati dalla presenza di un indirizzo chimico nel loro piano studi. Il Natta, in particolare, è stato al centro dei riflettori lo scorso giugno, in occasione della chiusura dell’anno scolastico, per aver ospitato il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, che non ha mancato di elogiare l’istituto bergamasco come un modello di riferimento a livello nazionale.

Va precisato che quello di Bergamo è un territorio con una forte vocazione industriale, tra le primissime province europee per rilevanza del manifatturiero, e una delle sue aree strategiche è proprio quella chimica. Dopo la provincia di Milano, infatti, è quella di Bergamo a vantare il maggior numero di imprese attive in questo settore, per un totale di 7.500 addetti, con un’incidenza dell’8% sul fatturato nazionale. Non solo, quella bergamasca è la seconda provincia italiana per il tasso di disoccupazione più basso (3,5%). È logico, dunque, che il suo distretto abbia bisogno come il pane di nuovi dipendenti, che siano già debitamente formati per svolgere il lavoro a cui saranno chiamati una volta assunti: tecnici di produzione, tecnici di laboratorio per il controllo dei processi e per il controllo di qualità e tecnici per l’applicazione e la certificazione di sistemi di qualità. Per capire qual è la ricetta del “metodo Bergamo”, che consente una collaborazione duratura e di successo tra scuola e lavoro, abbiamo parlato con la dirigente del Natta, la professoressa Maria Amodeo, da 12 anni alla guida dell’istituto, che licenzia circa 250 maturandi ogni anno. «Direi che il valore aggiunto di una rete funzionante è costituito da tre pilastri: istruzione, orientamento e formazione del personale docente. L’obiettivo è quello di ridurre la dispersione scolastica e il mismatching tra domanda e offerta». Qual è la peculiarità del vostro nuovo indirizzo? «Senz’altro la sua flessibilità alle richieste del mondo produttivo, ma anche l’integrazione tra didattica e problemi complessi. Caratteristiche, queste, tipiche degli ITS (Istituti Tecnici Superiori) e che abbiamo voluto prendere a modello di questa nuova offerta formativa».

Che cosa intende quando parla di integrazione tra didattica e problemi complessi? «Si tratta della principale novità didattica di questo nostro percorso di studi: vogliamo infatti sganciare l’insegnamento della chimica dall’apprendimento delle singole discipline scolastiche. Vale a dire che non sono previsti insegnanti per ogni singola materia afferente alla chimica, in quanto questa scienza verrà affrontata nel suo complesso, con un apporto sinergico da parte di docenti ed esperti di aziende. Inoltre, e questa è l’altra importante novità, i nostri studenti non dovranno imparare a risolvere i singoli problemi che via via si presenteranno nel corso dei loro studi, ma apprenderanno come affrontarli. In altre parole, le soluzioni non saranno già scritte nei testi scolastici, ma dovranno essere individuate sul campo dagli stessi studenti, perché, una volta appreso il metodo, questo potrà essere applicato a qualsiasi tipo di difficoltà».

Si tratta di un metodo all’avanguardia e, stando a docenti universitari di materie scientifiche, è l’approccio che contraddistingue i ricercatori italiani all’estero, rispetto a quelli di altre nazionalità; in breve, la duttilità. «Crediamo che sia anche l’elemento che possa convincere gli studenti a scegliere un indirizzo di questo tipo, nonché a proseguire negli studi, dal momento che riscontriamo alcune difficoltà nel terzo anno, dove si presentano diversi casi di abbandono del percorso scolastico. Quello che mi aspetto è che, facendo comprendere agli studenti quanto è importante il loro contributo e quanto quello che studiano troverà poi una concreta applicazione all’interno delle aziende, possano essere motivati a proseguire nel loro cammino».

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