Umberto Cabini, amministratore delegato di Icas

Umberto Cabini: i sogni nei cassetti

Ha inventato la cassettiera per farmacie che non c’era
Ha cambiato le regole negli enti che ha presieduto
Qual è la vision per sé stesso, l’azienda e la sua città

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I Fondi di private equity hanno effettuato molteplici operazioni su alcune aziende del territorio. Potrebbe
essere contemplato questo scenario anche per Icas, leader europeo nella produzione di cassettiere
per farmacie e negozi di ottica? Lo abbiamo chiesto al suo amministratore delegato, Umberto Cabini. «No» risponde. «Non voglio correre il rischio che i Fondi possano trasferire l’azienda in altri territori lasciando senza lavoro i dipendenti che hanno lavorato in Icas e l’hanno aiutata a svilupparsi. Così come non saremo mai dei subfornitori di altre aziende: chi ha in mano un brand, come noi, ha in mano il pallino del gioco. Il marchio è una garanzia per il futuro».
Insieme al fratello Antonio, ha saputo trasformare l’azienda artigianale paterna in un’impresa a vocazione
internazionale. Inoltre, Umberto Cabini ha rivestito incarichi importanti come le presidenze di Confindustria Cremona e della Fondazione del teatro San Domenico di Crema. E, infine, ha ottenuto importanti riconoscimenti nel campo dell’arredamento e del disegn come il “Compasso d’oro” e il “Design Management Award”.


Ma quali sono gli interessi e la vision di questo imprenditore, 74 anni, in merito a sé stesso, alla sua
azienda, al territorio nel quale vive e lavora, e al mondo scosso dalle guerre?
«Innanzitutto continuerò a fare l’imprenditore» racconta. «Sono soddisfatto di tutto quello che ho realizzato, anche con un po’ di fortuna. Di interessi ne ho avuto tanti e ho cercato di coltivarli tutti. Anzi, lo sto facendo anche oggi».


Come vede il futuro di Icas? «Continueremo a presidiare i nostri punti di forza ponendo, come sempre,
la massima attenzione all’innovazione, al design, alla qualità dei materiali, alla funzionalità e all’affidabilità
dei nostri prodotti che, sottolineo, sono tutti “made in Italy”. E se oggi è diventato di moda parlare di aziende green, noi pratichiamo la sostenibilità già dal 1980 quando è stata fondata Icas: i nostri cassetti e i nostri espositori sono totalmente ergonomici, ecocompatibili e l’alluminio con il quale sono costruiti è riciclabile al 100%. Infine, siamo nati e cresciuti per esportare e competere a livello mondiale: continueremo, quindi, a vendere la maggior parte dei nostri prodotti all’estero».
Tra i numerosi riconoscimenti, nel 2023 Icas ha ricevuto anche il premio “Etica nel sociale e nel lavoro”.
«Infatti. La nostra è un’impresa socialmente responsabile e che ha un forte legame con il territorio. Sostenibilità ed etica fanno parte del Dna aziendale».
A causa di guerre, del caro-energia e delle forniture a rischio, l’economia italiana sta navigando nell’incertezza. È preoccupato?
«Molto. Il Papa ha parlato di scenari da Terza guerra mondiale; basterebbe un nonnulla per scatenarla:
più che al Medio-Oriente penso a Taiwan. Sono nato nel 1949, quattro anni dopo la fine del
secondo conflitto mondiale e la mia generazione ha potuto vivere da subito un momento storico
favorevole: la nascita dell’Onu, la firma del Patto atlantico, il boom economico, l’entrata dell’Italia tra
i quattro Paesi più industrializzati del mondo grazie alla generazione di mio padre che si è fatta anche
sei anni di guerra e ha saputo, poi, aprire negli anni Sessanta startup che sono diventate Pmi.
In Italia ci sono state delle criticità dopo gli anni del “miracolo economico”, ma non si era mai più ventilato il rischio di una guerra. Oggi, invece, domina l’incertezza.
Gli italiani non vivono e lavorano più in serenità».
Ragionando di temi più locali, poche startup e pochissime Pmi sono state aperte nel Cremonese negli ultimi tempi: fare l’imprenditore, insomma, non è più un mestiere per giovani. Che cosa direbbe a un ragazzo che vorrebbe aprire un’impresa?
«Gli darei questi consigli: diventare imprenditori significa avere coraggio, incoscienza e fame.
Se hai fame rischi, altrimenti no.
Inoltre non basta dire: voglio aprire un’impresa; bisogna avere alle spalle un percorso imprenditoriale
che molto spesso parte dal nulla. Vedi, per esempio, Bill Gates e altri come lui: molte multinazionali
digitali sono nate nei garage di casa. Oppure, vedi Ferrero, sono iniziate dal piccolo negozio
sotto casa. Fare l’imprenditore, insomma, significa possedere le competenze adeguate, ma per
ottenerle serve tempo. E’, quindi, sempre attuale quel detto: per fare un’impresa ci vogliono anni,
per disfarla basta un giorno
».


Crema: è fiducioso sul futuro di questa città e del suo territorio? «Sì. Crema è bella, non le manca nulla. Siamo vicini a Milano, il motore dell’economia nazionale.
Una volta completata la Paullese, la città e il territorio saranno più attrattivi per persone e aziende. Il
grande sviluppo imprenditoriale sarà qui. Spero solo che ci siano
meno logistiche e più aziende innovative».
Qual è il suo giudizio sull’area omogenea cremasca? «Se è stata pensata per fare economie di scala e sarà gestita in modo imprenditoriale, sarà un’iniziativa vincente».


Di certo, tra gli interessi attuali e futuri di Umberto Cabini ci sarà sempre la sua sfrenata passione e profonda competenza per l’arte e il design. È stato presidente del Dipartimento imprese di ADI (Associazione per il Disegno Industriale), e attualmente riveste le cariche di presidente della Fondazione
ADI, collezione “Compasso d’Oro”, e di vice presidente di ADI
che da 70 anni si occupa di valorizzare il design italiano nel nostro Paese e all’estero, fattore decisivo per il successo del “made in Italy”: l’ente ha in consegna 350 oggetti che hanno vinto il “Compasso d’oro” e altri 2.300 che hanno ottenuto la menzione d’onore.
Ne parla con entusiasmo: «Sono autentiche opere d’arte. La “Lettera 22” dell’Olivetti, per esempio, è paragonabile a una scultura. E avere nel garage una Ferrari degli anni ’60-’70 è come tenere appeso in salotto un quadro di Lucio Fontana. Oggetti che si possono ammirare nell’ADI Design Museum e che esponiamo in mostre in giro per il mondo. Sono stato, per esempio, nel novembre scorso all’inaugurazione dell’esposizione di 100 prodotti iconici di aziende italiane a Shanghai».
Nel frattempo si è appena chiusa la mostra su “Carissimo Pinocchio” nella quale designer e grafici
italiani hanno ridisegnato il burattino più famoso del mondo; questa raccolta viaggerà per due
anni: prossima tappa Los Angeles.
Mentre a Hong-Kong sono ancora in esposizione i lavori e le idee di 100 designer italiani under 35. «Sono mostre remunerate e il loro calendario viene stilato attraverso accordi con le Camere di commercio dei vari Paesi».


Ma chi è Umberto Cabini? È un innovatore. Nel suo mestiere di imprenditore, innanzitutto. Con il fratello Antonio, infatti, ha dato vita a “Boomerang”, la cassettiera per farmacie che non c’era e che ha reso le altre cassettiere immangiabili come la minestrina con il dado: fa parte ormai della storia il piano inclinato di “Boomerang”, nel quale, estraendo il cassetto, i primi prodotti che escono sono quelli in scadenza; è stata la soluzione che ha “liberato” chi c’è dietro il bancone dai continui ricambi di merce. Non solo: i due fratelli hanno trasformato un anonimo cassetto in un oggetto di design.


Ma è stato un innovatore anche nello svolgere ruoli di responsabilità in istituzioni pubbliche e private che gli sono stati affidati e che lui non ha mai cercato. In tutti questi incarichi ha saputo portare una ventata di managerialità. «Ho accettato quelle cariche solo per dare il mio contributo alla società mettendo a disposizione le mie capacità professionali». Infatti.
Al San Domenico ha inaugurato l’iniziativa “Arteatro”: «Ho dato spazio alle mostre di artisti affermati e di giovani artisti emergenti nel foyer del teatro»; un progetto che dura tutt’oggi. Ma non è finita: ha portato più Milano a Crema nominando un direttore artistico del teatro; una decisione che sta continuando nel tempo. Ma la sua decisione più “rivoluzionaria” è stata quella di far “timbrare il cartellino” ai docenti del “Folcioni”, la scuola di musica cittadina che era passata in carico alla Fondazione San Domenico: «Innanzitutto ho regolarizzato tutti i dipendenti dell’istituto» ricorda.
«Poi, ovviamente, nei rapporti aziendali servono delle regole da osservare. Come l’orario di lavoro».
Ha soppresso, infine, anche una tradizione che durava da anni in Confindustria di Cremona e che sembrava immodificabile secondo il detto «abbiamo sempre fatto così»: convocare le assemblee annuali dell’associazione solo al teatro “Ponchielli”. «Un luogo deputato agli spettacoli e non a ragionare di lavoro. Ho deciso così di spostare questi incontri nelle aziende dove c’è l’operatività quotidiana.
Era anche un’occasione per conoscere e visitare le imprese ospitanti». Si è cominciato con la “Ocrim” e la “nuova tradizione” si ripete ogni anno.
Ma non è la prima “consuetudine” che Cabini ha sdoganato. Dopo il secondo mandato alla Fondazione
del teatro San Domenico ha detto “basta” anche se gli avevano proposto un terzo mandato.
«Sono convinto che le cariche debbano essere a rotazione per lasciare spazio anche ad altri che possono così portare avanti idee nuove» dice. Ha intenzione di fare lo stesso anche in ADI?
«Se dovessero propormi il quarto mandato da presidente, dirò un altro “basta”, anche se a malincuore.

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