Il diritto all’oblio è il diritto di una persona a non essere ricordata per fatti che la riguardano. In effetti, l’esercizio del diritto di cronaca da parte di un giornalista, cioè il diritto di riportare in un articolo o in un servizio quello specifico fatto, è riconosciuto solo se soddisfa il bisogno informativo della collettività. Una volta soddisfatto tale bisogno informativo, la persona ha il diritto alla riservatezza, il diritto – in poche parole – ad esser dimenticata. Questo diritto, nell’era digitale, è fortemente percepito; trovare informazioni su chiunque è un gioco da ragazzi, tramite social networks come Facebook o Instagram, ad esempio, oppure con l’aiuto di uno dei motori di ricerca più impiegati al mondo: Google.
Il problema sorge quando la notizia non è aggiornata, eppure resta nella disponibilità del pubblico a causa degli stessi motori di ricerca, come Google nel nostro esempio, i quali non affrontano efficacemente il tema della c.d. dindicizzazione della notizia obsoleta, superata oppure falsa o diffamatoria. Pensiamo alla notizia della famosa sentenza Google Spain, resa dalla Corte di Giustizia europea nella causa C-131/2012, che ha visto contrapposto il famoso social network a Maria Costeja Gonzales e al garante per la privacy spagnolo. La Corte di Giustizia europea ha riconosciuto, in favore di Maria Costeja Gonzales, il pieno diritto all’oblio e alla de-ndicizzazione delle notizie ormai sprovviste del carattere di novità.
In pratica, una volta accertato che l’interessato ha diritto a che le informazioni inerenti se stesso, o se stessa, siano rimosse in quanto non più attuali, sarà necessario chiedere ai motori di ricerca come Google, la de-indicizzazione dei relativi contenuti, cioè la rimozione dai risultati di una ricerca sul web dei link a pagine web pubblicate da terzi che contengono informazioni personali obsolete, false o comunque smentite.
I giornalisti, dal canto loro, possono tutelarsi invocando il diritto di cronaca e il diritto collettivo all’informazione. La domanda che questi stessi giornalisti possono farsi, oltre a noi come cittadine e cittadini, è se la de-indicizzazione leda il nostro diritto a conoscere. Risponde a questa domanda il gruppo dei Garanti europei per la privacy, emanando Linee Guida, con le quali contribuisce a chiarire quali criteri rilevino nella valutazione dell’informazione. Di primaria rilevanza è certamente il criterio temporale, che non può essere determinato a priori, ma risulterà dall’esame dello scopo per il quale il dato è stato raccolto. Ultime ma non meno importanti risultano le Linee Guida n. 5 del 2020, emanate dal Comitato Europeo per la protezione dei dati personali in tema di diritto all’oblio nei motori di ricerca. In occasione della richiesta di de-indicizzazione, l’Autorità deve primariamente valutare il contenuto del sito cui è riferita. Se la richiesta attiene alla presenza di dati personali non più necessari per le finalità del trattamento riconducibili a un motore di ricerca come Google, per esempio, occorre bilanciarli con gli interessi a conoscere degli utenti in considerazione del periodo di conservazione dei dati. Resta inteso che, per effettuare un’efficace attività di bilanciamento, occorrerà accertarsi che il contenuto del sito internet non pregiudichi la digital reputation dell’interessato.
Il Regolamento 2016/679 sulla protezione dei dati personali prevede in forma rafforzata l’autentico diritto a perdersi di vista, con l’obbligo dei titolari del trattamento – come Google nel nostro esempio – di adottare misure ragionevoli al fine di operare una cancellazione non solo nello spazio digitale sotto il loro diretto controllo, ma anche in qualsiasi link, copia o riproduzione, sulla base della tecnologia disponibile e dei costi di attuazione.
Una bella sfida che i grandi come Google hanno gli strumenti per vincere.