Calzificio Bassini: quasi 50 anni di esperienza nel settore, uniti a un innato estro creativo, un percorso di ricerca, estetica e funzionalità, hanno creato un prodotto su misura, esclusivo, di alta qualità e 100% “made in Italy”. Tutte le fasi produttive, dall’idea al prodotto finito, dalla progettazione dei modelli all’elaborazione dei disegni, dalla scelta dei filati alla campionatura, dalla smacchinatura al packaging, avvengono nella sede di Farfengo, frazione di Borgo San Giacomo, un piccolo borgo della Bassa bresciana.
«Nel panorama nazionale, Brescia è la città di riferimento della calzetteria. Io sono nata e cresciuta in una famiglia che produce calze sin dalla metà degli anni ’70. All’interno della nostra azienda disponiamo di macchinari di ultima generazione e di diverse tipologie per offrire un’ampia gamma di articoli. Calze da uomo e donna lisce, con disegni in jaquard, in vanisè, con lavorazione piquet, ma anche con piede in mezza spugna e gambale elastico, per bike, running e trekking. Ce n’è per tutti i gusti ».
Una produzione anche legata all’etica la vostra. «Infatti. Ci serviamo esclusivamente di filati certificati OEKOTEX. Inoltre, per il confezionamento utilizziamo involucri di carta 100% riciclabile». Parola di Marina Bassini, la giovane imprenditrice artigiana che con passione e idee nuove ha deciso di portare avanti l’impresa di famiglia. La storia del Calzificio Bassini affonda le sue radici nel 1974, quando papà Angelo, appena tornato dal servizio militare, ha deciso di acquistare due macchine usate per fare le calze e le ha posizionate nel garage dei suoi genitori.
«Nel corso degli anni, il nostro lavoro ha subìto profonde trasformazioni; di conseguenza si è rivelato di fondamentale importanza lo stare al passo con l’evoluzione delle tecnologie di settore e con le mutazioni del mercato. Con il tempo abbiamo ampliato e rinnovato l’azienda».
Marina è entrata ufficialmente nell’azienda – che oggi conduce con il padre e lo zio Gianluigi – nel 2010, dopo la laurea in Economia e Integrazione Internazionale conseguita all’università di Pavia. «Conosco le calze come le mie tasche. Il mio ingresso in azienda è stato quasi naturale perché sono cresciuta con padre e madre artigiani: casa, famiglia e lavoro non hanno mai avuto un confine netto e ben definito tra loro. Quindi, il fatto di seguire le orme dei miei genitori è il frutto dell’evoluzione del mio percorso di vita».
Lavorate più con l’Italia o con l’estero?
«Direi 50 e 50. All’estero abbiamo clienti più importanti, mentre la maggior parte di quelli italiani sono realtà più piccole, ma prestigiose. Collaboriamo anche con vari grossisti e brand conosciuti in tutto il mondo».
Covid, guerra, aumenti del costo dell’energia e delle materie prime, ma anche la loro difficile reperibilità. Come avete reagito?
«A parte lo shock del lockdown, dal punto di vista delle vendite abbiamo retto bene grazie all’online. Proprio in quel periodo ho aperto il nostro sito e-commerce, www.calzinibassini.com. Molti nostri clienti hanno incrementato le vendite proprio perché le persone, costrette a stare in casa, si sono affidate in maniera massiva alla rete per i propri acquisti. Diverso è il discorso della guerra in Ucraina e dei rincari in bolletta e delle materie prime: è stata una batosta perché abbiamo dovuto sostenere spese extra e impreviste».
A proposito di “Calzini Bassini”: di che cosa si tratta?
«“Calzini Bassini” è il nostro brand, ma anche il nome dell’e-commerce. Inoltre, identifica anche il particolare servizio di personalizzazione che ho ideato per realizzare calze uniche e capaci di riflettere lo stile e il carattere di chi le commissiona. “Calzini Bassini” non è solo un marchio, ma anche una famiglia, la mia».
Oggi le calze non sono più solo un indumento, ma hanno acquisito lo status di accessorio di tendenza. Come nascono le vostre creazioni?
«Acquistiamo i filati dai nostri fornitori di fiducia con tutte le certificazioni del caso. Lavoriamo in due direzioni. Per quanto riguarda la nostra linea, ho cercato di creare una gamma di prodotti completa per soddisfare i gusti di una clientela la più eterogenea possibile. Diverso è il lavoro su commissione: in questo caso realizziamo le calze seguendo i desideri del cliente».
Quanto è importante la tecnologia nel vostro settore?
«E’ vitale. Il primo significativo cambiamento ha coinciso con il passaggio dalle macchine meccaniche a quelle elettroniche, avvenuto tra la fine degli anni ’90 e i primi anni 2000. Questo switch ha semplificato e reso più rapido il lavoro, ma al tempo stesso ha richiesto un nuovo tipo di competenze e professionalità nell’utilizzo, nella manutenzione e nella programmazione dei software di ultima generazione. Legata a questo periodo è anche l’introduzione di macchinari in grado di realizzare le calze a punta chiusa (mentre prima era necessario un passaggio in più per la cucitura, magari affidandosi a laboratori esterni), invenzione che ha permesso di risparmiare tempo e soldi».
Borgo San Giacomo, con Botticino e Castelgoffredo, è sempre stato considerato il distretto della calzetteria. Tuttavia di calzifici ne sono rimasti pochi.Come mai?
«Il distretto della calzetteria nasce nel primo dopoguerra e si caratterizza per la comparsa di grandi stabilimenti nei quali si sono formati migliaia di dirigenti, tecnici e operai che negli anni successivi, sfruttando l’esperienza e le abilità acquisite, hanno aperto numerose attività in proprio. Fino alla metà degli anni ’90 le cose sono andate sempre molto bene, poi nei primi anni 2000 il settore è entrato in una profonda crisi, causata dai costi fissi troppo elevati, dalla concorrenza cinese, ma soprattutto da quella turca. Molti calzifici hanno chiuso, mentre chi, come noi, ha deciso di resistere ha dovuto reinventarsi e rinnovarsi. Abbiamo completamente rinnovato i macchinari, introdotto nuove tecniche di produzione e ampliato la gamma dei prodotti che, di fatto, fino ad allora erano limitati alle sole calze da uomo».
Come vi siete differenziati dagli altri?
«Abbiamo deciso di specializzarci nella produzione di calze tecniche per lo sport, come trekking, sci e running. Tuttavia, nel nostro settore le cose cambiano velocemente e anche la redditività di questo business, dopo qualche tempo, era andata scemando. Così ho introdotto il servizio di personalizzazione delle calze, seguendo il cliente dalla fase di progettazione fino alla scelta del packaging. Il fatto di essere una piccola realtà si è rivelato un grande vantaggio. Infatti, rispetto a realtà più grandi e strutturate, abbiamo una maggiore flessibilità, cosa che ci ha sempre permesso di cambiare rapidamente rotta, intercettando le esigenze del mercato e dei clienti, anche di quelli più esigenti».
Che cosa significa essere imprenditori oggi?
«È fondamentale avere un progetto da seguire, ma bisogna sempre essere pronti a modificarlo in corso d’opera qualora fosse necessario. Inoltre: passione per il proprio lavoro, entusiasmo, tante idee, capacità di curare la comunicazione e tanta voglia di fare».
Avete fatto della comunicazione uno dei vostri punti di forza.
«Credo che – in un mondo iper-connesso come quello in cui viviamo – raccontarsi nel migliore dei modi sia di fondamentale importanza. Per questo, oltre all’e-commerce, sul nostro sito c’è anche una sezione che spiega nel dettaglio chi siamo, cosa facciamo e quali servizi offriamo. Inoltre, siamo presenti anche su Facebook e Instagram».
Molte aziende lamentano una sempre maggiore difficoltà nel trovare personale. Quali sono le cause?
«Anche noi riscontriamo questa difficoltà, soprattutto nel reperire tecnici specializzati nella manutenzione dei macchinari. A mio parere si è investito troppo poco sulla formazione delle figure tecniche. E sul ricambio generazionale: nel nostro territorio credo di essere la più giovane imprenditrice artigiana del settore. Molti calzifici hanno chiuso perché i figli dei proprietari hanno deciso di non proseguire l’attività di famiglia».
Come vede il futuro del Calzificio Bassini e più in generale del vostro settore?
«Il tessuto economico del nostro Paese è composto da una miriade di piccole-medie imprese, molte delle quali a direzione femminile. Essere donna spesso coincide con l’essere madre (come nel mio caso) e in Italia far convivere le due cose può essere difficile, sia per mancanza di politiche e servizi adeguati che per ragioni culturali. Amo il mio lavoro e ho passione per quello che faccio, anche se a volte è davvero difficile barcamenarsi tra l’azienda e gli impegni della vita quotidiana. A livello generale, nel nostro settore le cose cambiamo rapidamente. È difficile prevedere il futuro. Ciò che mi auguro è di poter portare avanti l’attività di famiglia per molti anni, intercettando i cambiamenti per trasformali in opportunità».