Nella pratica commerciale di tutti i giorni appare di fondamentale importanza ottenere dai clienti promesse di pagamento e, ancor più, ricognizioni di debito, necessarie nell’ottica di facilitare e velocizzare eventuali successive procedure di recupero coattivo dei crediti.
Più nello specifico, la promessa di pagamento consiste nella promessa da parte del debitore di effettuare una determinata prestazione. Viceversa, la ricognizione di debito consiste nel riconoscimento di un proprio debito nei confronti di un altro soggetto. Tale riconoscimento, poi, può essere “puro”, laddove il debitore riconosca l’esistenza del debito senza nulla aggiungere (ad esempio, riconosco di esserti debitore di € 100), o “titolato”, qualora il soggetto faccia espressamente riferimento al rapporto sottostante dal quale il debito è sorto (ad esempio, riconosco di esserti debitore di € 100 a titolo di mutuo).
In entrambi i casi, si tratta di atti unilaterali recettizi di carattere negoziale e a contenuto patrimoniale, che vengono ricondotti dal legislatore all’interno della categorie (tassativamente circoscritta) delle promesse unilaterali di cui all’art. 1987 c.c.
Il Codice Civile contempla entrambe le figure all’art. 1988 c.c., norma che non detta una definizione specifica dei due istituti, ma si limita a disciplinarne gli effetti dal punto di vista della ripartizione dell’onere della prova. La norma in parola, infatti, dispone che «la promessa di pagamento o la ricognizione di un debito dispensa colui a favore del quale è fatta dall’onere di provare il rapporto fondamentale. L’esistenza di questo si presume fino a prova contraria».
La tesi dominante, tanto in dottrina, quanto in giurisprudenza, dunque, ritiene che gli istituti della promessa di pagamento e della ricognizione di debito siano espressione della volontà legislativa di agevolare chi riceva l’una o l’altra di tali promesse unilaterali, posto che tale soggetto, in deroga ai principi generali in materia di ripartizione dell’onere della prova ex 2697 c.c., potrà agire per il recupero del credito senza dover provare il rapporto fondamentale che a tale credito ha dato origine, che diviene oggetto di una presunzione iuris tantum.
Il creditore che disponga di una promessa di pagamento o di una ricognizione di debito proveniente dal debitore potrà, quindi, chiederne la condanna, semplicemente allegando l’una o l’altra promessa ricevuta, senza dover fornire prova dell’origine, della causa e della consistenza del credito azionato.
Viceversa, viene riversato sul debitore il c.d. rischio della mancata prova, posto che lo stesso, al fine di liberarsi dall’obbligazione, dovrà dimostrare che il debito è stato successivamente estinto o è caduto in prescrizione, che il rapporto fondamentale sottostante era affetto da una causa di invalidità, che la promessa o la ricognizione è stata fatta per errore o è stata estorta o ottenuta con dolo, eccetera.
È evidente, quindi, come l’essere in possesso di una promessa di pagamento o di una ricognizione di debito possa notevolmente facilitare e sveltire il procedimento di recupero coattivo del credito, tanto in sede ordinaria, quanto (e soprattutto) in sede monitoria, dove la fase iniziale e necessaria della procedura si svolge inaudita altera parte, sollevando il creditore procedente dall’onere di provare i fatti costitutivi della propria pretesa e, contestualmente, aggravando la posizione del debitore, il cui onere probatorio viene reso di gran lunga più difficoltoso.