Potreste essere all’oscuro di termini che si richiamano a filoni del pensiero economico e questo non vi facilita la lettura di articoli interessanti, o l’ascolto di trasmissioni televisive importanti o ancora l’intervenire in discussioni stimolanti. Si può rimediare con questa breve storia del pensiero economico dagli antichi ai giorni nostri.
Come abbiamo visto nei numeri precedenti, i frati benedettini, seguendo il motto «Ora et labora» («Prega e lavora») del loro fondatore san Benedetto (480-547 d.C.) cominciarono a lavorare e modificare la terra sviluppando nuove competenze e innovazioni tecnologiche, e commerciando aprirono la strada alla nascita del capitalismo.
I francescani, a loro volta, vivendo nelle città in mezzo ad artigiani, commercianti e mercanti e costruendo i Monti di Pietà, vere e proprie banche, diedero vita, a loro volta, all’economia di mercato. Con San Tommaso d’Aquino (1224-1274), frate domenicano, teologo e filosofo, si iniziò a dibattere – con linguaggio prima quasi sconosciuto – di scambi, moneta, usura, frode, libertà economica, proprietà privata e formazione del prezzo.
Docente universitario, chiamato anche «il bue muto» per la sua stazza e la sua mansuetudine, denominato dalla Chiesa il «Doctor Angelicus», fu canonizzato nel 1323 dal papa Giovanni XXII, mentre il titolo di dottore della Chiesa gli fu attribuito nel 1567. Inoltre, a partire dall’enciclica “Aeterni Patris” di Leone XIII (1879), la sua opera è considerata la pietra angolare del cattolicesimo, dalle questioni teologiche e filosofiche alla dottrina sociale. Dalle sue riflessioni è nata la corrente filosofica del tomismo.
Insomma un peso massimo. Non vi sembrino, queste, sterili dispute teologiche tra frati. Anzi. Le grandi trasformazioni economiche e sociali hanno sempre avuto un substrato teoretico o morale. Per fare alcuni esempi, senza Lutero e Calvino non sarebbero mai nati la rivoluzione industriale inglese e il capitalismo come lo conosciamo oggi; senza Marx non ci sarebbero state l’Unione sovietica di Stalin e la Russia di Putin, e così pure la Cina di Mao e di Xi Jinping. Senza le teorie del filosofo Francesco Bacone (Londra 1561-1626) con il suo motto «la conoscenza è potere» non avremmo avuto una generazione di uomini di scienza nell’Ottocento, formatasi tutta a Cambridge, che ha saputo cambiare il mondo.
Uomini come William Whewell (1794 -1866) che coniò per la prima volta il termine inglese “scientist” (scienziato) e fondò la Analytical Society; come John Herschel (1792-1871) che fu uno degli inventori della fotografia e il più famoso astronomo della sua epoca avendo mappato il mondo stellare e quello delle maree rendendo più sicuri i traffici marittimi; come Charles Babbage (1791-1871) che ideò il primo calcolatore universale programmabile e quello che oggi è ritenuto il primo computer; come Richard Jones (1790-1855) che sviluppò la neonata scienza dell’economia politica applicando il metodo storico e induttivo. Ma avremo modo di approfondire questi argomenti.
Ora torniamo a Tommaso d’Aquino che ha scritto un’opera monumentale e fondamentale: la Summa Theologiae. Il massimo della vita per questo filosofo e teologo è che gli uomini tendessero all’amicizia, al sostegno reciproco e all’amore fra di loro, e collaborassero per il bene di ognuno e della società: «L’uomo ha bisogno di amici, sia nelle opere della vita attiva che in quelle della vita contemplativa». E, quindi, devono aiutarsi anche nei rapporti economici. Infatti il commercio occupa un posto importante nella visione sociale di Tommaso. Le pagine
della “Summa” testimoniano con chiarezza l’apprezzamento delle realtà terrene da parte del «Doctor Angelicus» quando parla della ricchezza (che da ostacolo alla realizzazione spirituale dell’uomo diventa elemento positivo quando è moderata e conferisce prosperità alla società), di povertà (come scelta, non come destino) e dello scambio, fonte legittima di ricchezza per il mercante e la colettività. Tutto bene? Insomma… Di certo, il filosofo ha difeso la legittimità della proprietà privata, ha condannato l’usura e i monopoli sotto ogni aspetto e si è schierato contro gli interessi speculativi sui prestiti. Per quanto riguarda, invece, il guadagno (profitto) dell’artigiano, del commerciante e del mercante lo ritiene lecito quando è “modesto”, è solo un compenso del proprio lavoro ed è voluto per scopi onesti, come il mantenimento della propria famiglia, il decoro della città alla quale non devono mancare le cose necessarie e l’elemosina agli indigenti. Il prezzo di un bene, quindi, è una questione profondamente morale.
A questo punto, il valore di una merce da che cosa dipende? Certamente, per una parte (minore), dalla quantità del lavoro impiegato per produrla, dal giusto salario del lavoratore e dal guadagno “ragionevole” del venditore, e dall’altra (la maggior parte) dal bisogno dei compratori e dal loro ruolo nella società. Per cui, le esigenze del contadino sono diverse da quelle del cavaliere, del prete e del re. Portando alle estreme conseguenze questo ragionamento, diventa facile commentare che per il «Doctor Angelicus» ogni individuo deve avere solo ciò che gli basta per vivere in maniera conforme al proprio rango, deciso dalla nascita, per volere divino. E, per dirla ancora più a pane e salame, il «giusto prezzo» starebbe tra il minimo che garantisce la sopravvivenza e il massimo che, in tutta coscienza, decide di farsi pagare il venditore per non cadere nel peccato di avarizia o nell’accusa di truffa.