Hosteria del Vapore. Intervista al titolare, Stefano Berzi

Sesta generazione di osti La cucina è bergamasca Ottima l’offerta dei vini

Il nome deriva da un treno che faceva tappa
fuori dal locale. Nuora e suocera, la tradizione

Facebook
Twitter
LinkedIn
Pinterest
Pocket
WhatsApp

L’Hosteria del Vapore a Cicola: Un Viaggio nella Tradizione e Innovazione della Famiglia Berzi

A Cicola, piccolo borgo rurale di origine romana in provincia di Bergamo, nel corpo centrale del Castello dei Conti Suardo, risalente al X secolo, affonda le sue radici l’Hosteria del Vapore, le cui origini risalgono al 1870. Sempre gestito dalla famiglia Berzi, arrivata alla sesta generazione di osti, oggi il locale è divenuto una realtà storica certificata da regione Lombardia.

Il nome deriva da un vecchio treno a vapore che transitava nella strada adiacente a inizio ‘900 e faceva tappa proprio fuori dal locale per caricare acqua e carbone, riempiendo il ristorante con i suoi sbuffi. Tutt’oggi, a imperitura memoria dei tempi andati, è presente in una delle sale l’antica biglietteria, così come l’insegna originale.

Stefano Berzi, classe 1992, è il titolare. Premiato come miglior Sommelier d’Italia Ais 2021 e Italian Best Sommelier 2021, da lui passa la selezione dei vini. Al suo fianco c’è il padre, Gian Paolo, classe 1958 (sommelier Ais dal 1990 e maestro assaggiatore di formaggi Onaf): tocca a lui occuparsi della selezione alimentare, andando sempre alla ricerca di nuovi produttori. La cucina è il regno di mamma Monica Alborghetti, di origine svizzera che, ereditato lo scettro e il prezioso libretto delle ricette dall’indimenticata suocera Teresina Bassetti, con tenacia e passione ha sviluppato negli anni un’attenta cura e rispetto per la materia prima.

Abbiamo sentito Stefano Berzi. Per voi la ristorazione è diventata una questione di famiglia.
«Per noi, portare avanti la tradizione di famiglia è motivo d’orgoglio, oltre che una grande responsabilità. Una tradizione che è anche contaminazione, in quanto mio padre è per metà bergamasco e per metà trentino, mentre mia madre ha origini svizzere. Questo si riflette anche nella nostra proposta culinaria, fortemente legata al territorio bergamasco e alla Val Calepio, con la sua tradizione casearia, i suoi salumi e i suoi piatti più conosciuti (polenta, casoncelli, scarpinocc), ma al tempo stesso ricca di contaminazioni e in continua evoluzione».

Come definiresti la vostra cucina?
«Ciò che ci distingue è l’attenzione maniacale nella scelta delle materie prime, provenienti da piccoli produttori con i quali abbiamo un rapporto diretto e di fiducia, derivante da anni di ricerca. Direi che la nostra è principalmente una cucina bergamasca, rivisitata e rimpiattata secondo canoni più odierni».

Lo stesso per la selezione dei vini?
«La nostra carta dei vini, frutto di un’accurata selezione di piccoli produttori artigiani, può contare su oltre 400 etichette di vini naturali, scevri di chimica e figli del loro territorio».

Quali sono le qualità che contraddistinguono un buon sommelier?
«Oggi quella del sommelier è una figura a 360°, vuol dire che non parla solo di vino ma anche di birra, di distillati, di tè, di sigari. Il vino rimane ovviamente il cavallo di battaglia, ma ci vuole una formazione completa. Il sommelier deve comunicare il vino, il territorio e la filosofia del produttore, deve conoscere gli abbinamenti e le etichette, visitare le vigne e le cantine, aggiornarsi continuamente. Il sommelier è un professionista a tutto tondo».

A tuo parere, qual è il peso del vino nell’economia di un locale?
«Il vino è anche quello che ti fa muovere il fatturato. La bottiglia la compri e la vendi senza grandi costi a livello di gestione».

Nel vostro locale avete anche una cigar room, una scelta che vi contraddistingue.
«La cigar room è stata pensata per gli amanti del fumo lento, che qui possono godersi uno tra gli ottanta distillati in mescita che proponiamo».

Cosa consiglieresti a un ragazzo che volesse diventare ristoratore?
«C’è da fare tanta gavetta e tanti sacrifici, in quanto si lavora per lo più nel fine settimana, magari su due turni, pranzo e cena. La passione è fondamentale».

Una storia lunga 150 anni, fatta di amore, passione, fatica, dolori e soddisfazioni. Cosa vedi nel futuro della vostra attività?
«Stiamo vivendo anni di profondi cambiamenti. Credo che un domani ridurremo i posti a sedere e potenzieremo la parte di mesceria e vineria. Abbiamo da poco implementato anche l’e-commerce per la vendita online. Inoltre vorremmo avviare un Bed and Breakfast».

Dal 1958 al 2001, la signora indiscussa della cucina è stata Teresina Bassetti, (per tutti la “Trentina”), madre di Gian Paolo Berzi, che ha ereditato le ricette della tradizione bergamasca dalla zia di Gian Paolo. «Durante il primo anno il rapporto con Teresina non è stato facile» racconta Monica Alborghetti. «Poi, dopo esserci scontrate più volte, ci siamo volute immensamente bene, come madre e figlia. Da lei ho imparato tutto. Era gelosissima delle sue ricette, tanto che, sul letto di morte mi chiamò a sé dicendomi di custodirle e non rivelarle a nessuno. Ci lasciò poche ore dopo, lasciandomi in eredità quanto aveva di più caro al mondo».

La cucina è oggi il regno di Monica, che ha deciso di regalarci la ricetta del “Guancialino di maiale nero”.

Preparazione:
Il guanciale va messo in macerazione con sedano, carote, cipolla ed erbe aromatiche per 24 ore. Successivamente, va asciugato, rosolato con Olio EVO con le sue verdure, cipolla, sfumato con vino rosso, e va a questo punto aggiunto il brodo di carne che avremo preparato precedentemente. Aggiustare di sale e pepe q.b. Una volta cotto, va tolto il guanciale, e va emulsionato il liquido rimanente (quello del brodo, verdure, ecc..). Deve risultare un fondo vellutato. Servire con polenta, a pezzetti con la sua salsa.

Facebook
Twitter
LinkedIn
Pinterest
Pocket
WhatsApp

Iscriviti alla nostra newsletter!

Iscriviti alla newsletter