Quando il mondo politico di Cremona sente parlare dell’«area omogenea» del Cremasco, alza il sopracciglio e commenta tra il sarcastico e l’infastidito: «Ancora la stessa storia: ma cosa vogliono quelli là?». Non si tratta di un ritorno al Barbarossa e neppure di vecchi e nuovi rancori. Roba dimenticata. Stavolta, nei piani alti della politica di Crema si ragiona con determinazione e freddez- za sui pro e contro, e sui benefici e costi dei legami con Cremona.
E mentre negli anni scorsi erano proprio i partiti cremaschi, di destra, di centro e di sinistra, uniti ideologicamente con quelli cremonesi, a frenare ogni spinta centrifuga, oggi sono proprio loro a premere per decidere in autonomia. Soprassalti di autogestione che ancora poco tempo fa erano naufragati nel magma dei desideri insoddisfatti, oggi invece hanno trovato gambe sulle quali marciare.
Nessuna «CremExit», ma il fuoco, insomma, covava sotto la cenere. Tutto è ripreso quando sindaco di Crema è stato eletto l’anno scorso Fabio Bergamaschi, 37 anni, pidiessino, che, lasciato perdere ogni senso di appartenenza, fugate polemiche e critiche arrivate dal “fuoco amico”, ha indicato Gianni Rossoni, 74 anni, di centrodestra, primo cittadino di Offanengo, come “supersindaco” del Cremasco con l’obiettivo di farne un territorio capace di fornire servizi di qualità e di essere attrattivo nei confronti delle imprese, e quindi di rilanciare l’azione dell’«Area omogenea». Rossoni, a sua volta, dopo essere stato eletto dall’assemblea dei 48 primi cittadini cremaschi (con due soli voti contrari), ha formato la sua “giunta” con sindaci provenienti da orientamenti politici diversi.
E pur continuando a giurare di non voler assolutamente staccarsi da Cremona, di rimanere seduti al «Tavolo della competitività» (il primo incontro si è svolto il 21 settembre 2017 alle ore 17) e di aderire alla realizzazione di tutti gli obiettivi unitari del «Masterplan 3C», scritti nel 2019, i cremaschi non hanno mai nascosto di voler guardare più a Milano e Lodi che al capoluogo cremonese. Un’inchiesta dell’«Eco di Bergamo» dell’autunno scorso, iniziava così: «Crema, 34mila abitanti, 3.000 in più di Treviglio. Crema (40 km e 45 minuti per arrivare a Cremona) e Treviglio (20 km e 20 minuti per arrivare a Bergamo) guardano più a Milano».
In quell’occasione fu intervistato il sindaco Bergamaschi. Ecco cosa ha detto: «Siamo più orientati ver- so la metropoli lombarda come polarità quotidiana per studio, lavoro ed economia. Da noi, rispetto a Cremona, prevalgono le piccole e medie imprese. Al di là dei confini istituzionali con la provincia di Cremona, da sempre esistono delle relazioni naturali che ci legano a Milano, ma anche con Lodi con la quale stiamo avviando una serie di progetti su vari temi con la nuova amministrazione comunale. Non è certo una novità di oggi per Crema il guardare più verso Milano che verso Cremona, nel rispetto della posizione del capoluogo di provincia».
Alla domanda: “Anni fa si era anche parlato di una ipotetica provincia con Lodi, Crema e Treviglio”, Bergamaschi ha risposto: «Oggi non ci sono più le condizioni per questo progetto. I rapporti con Treviglio ci sono quale punto di appoggio logistico, ma ammetto che potrebbero essere più intensi». “
A penalizzare i rapporti tra Crema e Cremona ci ha pensato l’assenza di un collegamento rapido tra le due città?”
«Parrebbe di sì».
Avere una raccolta di vecchi giornali, aiuta a ricordare. Infatti, 7 anni fa, le distanze erano ancora più marcate. Abolite le Province, nel 2016 si cominciò a parlare di «Area vasta» e di «Area omogenea cremasca». E se l’allora presidente dell’associazione industriali di Cremona, il cremasco Umberto Cabini, disse subito: «Evitiamo scelte avventate e di dividerci. Spezzare la provincia di Cremona in più territori ci indebolirebbe. Significherebbe perdere la nostra identità», Marco Bressanelli, presidente volle precisare: «Stiamo con Cremona a patto di avere la stessa dignità e gli stessi servizi, o comunque raggiungibili in 20 minuti di macchina, altrimenti…». Ma alcuni suoi associati avevano espresso idee più radicali. Come Angelo Valota, titolare di un’importante azienda di falegnameria: «Meglio stare con Lodi o Milano». Dello stesso parere Andrea Goldaniga, titolare di un’azienda tessile: «Meglio con Lodi, se i cremonesi non ci daranno garanzie». Sull’altro fronte, la Cna provinciale, l’allora presidente cremonese, Giovanni Bozzini, non aveva avuto dubbi:«Oggi il Cremasco rivendica la sua autonomia. Frammentarci non ci porterà da nessuna parte. Cremona e Crema devono contare insieme, ma bisogna che Crema abbia il giusto che chiede. Se il Cremasco andrà con Milano, diventerà una delle tante periferie della metropoli. Cremona senza Crema rischia di diventare la periferia di Mantova». Da sinistra con Agostino Alloni e l’allora sindaco di Crema, Stefania Bonaldi, si parlò di «area omogenea cremasca» e il desiderio di «guardare verso Milano».
Divisi anche gli studiosi. Sempre nel 2016 ci fu uno studio voluto dalla Camera di Commercio e realizzato dalla società KPGM che supportava la volontà delle associazioni di categoria di Crema e Cremona di mantenere unito il territorio provinciale alleandosi anche con Mantova, mentre lo studio Vitale-Novello-Zane mise in risalto le ragioni positive per un’alleanza tra Cremasco e Lodigiano, e in una presentazione di questo ricerca, l’ex sindaco di Crema, Stefania Bonaldi, non ebbe dubbi nel ribadire che fra Cremona e Lodi, lei avrebbe scelto Lodi. Il sindaco di Calvatone, e consigliere provinciale Valeria Patelli, ha detto al quotidiano “La Provincia di Cremona” che vorrebbe un’«Area omogenea» anche per il Casalasco.
Dove porterà tutto questo? Territori in competizione fra loro nei servizi e nell’attrattività verso le imprese porteranno a una disgregazione anche economica dell’unità provinciale e minor potere contrattuale o, viceversa, determineranno una maggiore crescita economica delle rispettive aree che farà bene all’intera provincia? Lo scoprirete nelle pagine seguenti.