UNGUESS, la prima piattaforma italiana di crowdtesting

“Be smart from the start”: a caccia di “bug” nei siti con 160 milioni di tester

Intervista a Luca Manara, co-founder e ceo: come è nata l’idea, gli inizi in un “cantina”, come si svolgono i test, svelate le emozioni

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The devil is in the details” (“il diavolo è nei dettagli”); le fregature, infatti, si nascondono sempre in quei piccoli particolari che nessuno ti ha spiegato prima. Così, un’impresa che ha investito molte risorse per crearsi un sito aziendale o di e-commerce scopre, troppo tardi, che le pagine di digital marketing si caricano lentamente o non sono ottimali per essere lette sul cellulare, mentre il processo di checkout sull’e-commerce è lungo e complicato e i metodi di pagamento sono limitati. Il risultato? La fuga di possibili clienti e carrelli virtuali abbandonati. Sono pugnalate dirette al business.

La capacità di trovare i “bug” (“errori” in senso letterale), cioè i malfunzionamenti in app e siti di e-commerce attraverso il crowdtesting – l’innovativa metodologia che permette a persone reali di testare, attraverso una piattaforma, prodotti e servizi digitali – è stata l’idea vincente che ha fatto la fortuna in termini di crescita tecnologica e di business di una startup italiana nata nel 2015 con il nome di AppQuality, diventata poi UNGUESS dal 2022 con questo core: certificare la qualità, la praticabilità e la facilità d’uso di prodotti e sistemi digitali sul mercato.

Dal 2015 a oggi ha cambiato non 16 solo nome, ma anche pelle: da startup a scaleup attraverso tre diversi round di finanziamento, dall’indagine sul malfunzionamento delle sole app alla ricerca di “bug” in software, e-commerce, digital payment, smart device, ma anche nei negozi fisici tramite gli smart glasses. Dalla sola Software Quality (la scoperta dei bug, appunto, nel software) alla User & Customer Experience, fino ad entrare nel mercato della cybersecurity. Il tutto sostenuto da una “comunità” di decine di migliaia di tester quotidianamente in tutto il mondo, che possono arrivare fino a 160 milioni di tester grazie all’integrazione con marketplace e panel esterni.

Gli inizi della storia imprenditoriale che stiamo per raccontare porta- no a Londra dove nel 2015, appunto, per fare un master incentrato sul business, si era trasferito Luca Manara, 40 anni, ingegnere informatico, oggi co-founder e ceo di UNGUESS, ma a quei tempi di- pendente dell’ufficio marketing della Piaggio. Dall’economia alla tecnologia digitale, dunque. «Nella capitale inglese» ci racconta, «si parlava molto a quei tempi di app e innovazione. Un tema che mi interessava tantissimo. Cominciai a discuterne con due professori del Politecnico di Milano, polo di Cremona, che conoscevo perché c’eravamo stati in questa università da studenti: Edoardo Vannutelli Depoli (al tempo responsabile di attività di ricerca nei laboratori di Polimi ndr) e Filippo Maria Renga (anche cofounder di Osservatori Digital Innovation ndr)».

Di che cosa parlavate? «Della qualità dei prodotti digitali e di quanto fosse costoso poterne cre- are di eccellenti. Ci siamo posti una domanda: “perché non proviamo a scoprirlo?”. Quindi? «In uno dei nostri giri per l’Europa alla scoperta di novità, partecipammo alla presentazione di una piccola startup di crowdtesting. Tornati in Italia, scoprimmo che nessuno faceva questo lavoro. Inventammo, quindi, uno schema operativo che potesse funzionare e cominciammo a telefonare ai potenziali clienti ai quali raccontavamo la nostra idea. Capimmo subito che c’era dell’interesse da parte dei responsabili dei siti perché volevano saperne di più. Ci trovammo così nella classica “cantina” a ragionare tutti i giorni su come procedere, quali tecnologie utilizzare, quali potevano essere i costi, quali i feedback».

La “cantina” cremonese dei tre ex studenti del Politecnico come il “garage” californiano – ma in piccolo – dove ebbe inizio la storia della Apple di Steve Jobs, creata da lui nel 1976 con Steve Wozniak Ronald Wayne. «Si parte sempre così» continua Manara. «Si identifica un problema, ci si ragiona sopra, si fa ricerca per trovare la soluzione e la si testa sul mercato». Come è stato il primo test su un prodotto digitale? «Facevamo uno speech commerciale di 5 minuti a persona. Un procedimento stancante: dovevamo trovare le persone, chiamarle al telefono e registrare quello che avevano detto. Il test è durato un anno. Così facendo, però, portammo a bordo i primi clienti e raccogliemmo i soldi per assumere personale. Si lavorava anche 15 ore al giorno, ma devi resistere, auto-motivarti. Fare startup è proprio questo: farti venire un’idea, capire quale problema hanno le persone, effettuare dei test investendo il minimo indispensabile. Si parte da una soluzione e si arriva ad altre soluzioni. E’ questo il mestiere di tutti gli imprenditori».

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