Confcommercio: intervista al presidente Andrea Badioni

Chi ha chiuso il negozio, chi no e chi saprà resistere in futuro. Ecco i perché

“Come si diventa commerciante 4.0. Il supermercato si può battere e il centro storico non è un museo”

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Dati ufficiali non ce ne sono; i più recenti risalgono a metà del 2021. Ma, tutto sommato (vista la tempesta perfetta di Covid, guerra, caro-energia e inflazione elevata), il 2022 non è andato male per i commercianti della provincia di Cremona. Fino al terzo trimestre c’è stata, infatti, una continua crescita del fatturato, anche grazie alla spinta al rialzo dei prezzi. Produzione e occupazione sarebbero in riduzione tra la fine del 2022 e l’inizio del 2023, eppure ci sono segnali favorevoli che avvertono di una riduzione dell’inflazione nei prossimi mesi, mentre l’atteggiamento delle famiglie resta positivo verso il carrello della spesa e, quindi, sono da escludere, a breve termine, drastiche e generalizzate riduzioni della domanda.

Questa è l’opinione di Confcommercio di Cremona e del suo presidente Andrea Badioni. Che alcuni mesi fa ha incassato da regione Lombardia anche il riconoscimento d’“eccellenza” di cinque Distretti del Commercio cremonesi, sostenuti nella progettazione da Confcommercio – in sinergia con le amministrazioni comunali che hanno scelto questa associazione come loro manager – ricevendo un finanziamento dia 487,016 euro ciascuno. Un’iniezione di fondi che non era così scontata. “Il 2022 si è chiuso con buoni risultati in termini di consumi, tuttavia l’indice dei consumi ci conferma che non siamo ancora tornati ai livelli pre-pandemia” precisa Badioni.

Nessun osservatore nega che anche nel commercio si stia accumulando tensione e preoccupazione, ma fino ad oggi il comparto del terziario ha dimostrato di essere performante soprattutto nei settori alberghiero, della ristorazione e del commercio all’ingrosso e al dettaglio. Comparti che avevano subìto, per la pandemia, le pressioni maggiori e che hanno fatto di necessità virtù. E se la dura selezione ha sacrificato le posizioni meno competitive, ha irrobustito le altre. Alcuni settori del commercio e dei servizi, infatti, stanno sorprendendo per il loro inatteso contributo. Senza dimenticare che il terziario – secondo uno studio dell’Osservatorio di Manageritalia, realizzato in collaborazione con l’ufficio studi di Intesa Sanpaolo – vale il 73% del nostro Pil e, quindi, è sottovalutata la sua importanza nella crescita dell’economia italiana.
«Il terziario è un settore nevralgico perché contribuisce a gran parte della ricchezza nazionale. Commerciante ci si può reinventare a differenza di industriali e artigiani. Non vorrei spingermi al punto di sostenere che siamo l’ammortizzatore naturale» avverte Badioni. Eletto presidente per acclamazione nel 2020, titolare di un panificio e pasticceria a Casalbuttano, sta guidando una Confcommercio cremonese in uno dei periodi più complicati della sua storia.

Si investe ancora sul commercio, anche quello di vicinato? 

«Senza alcun dubbio. E mentre durante la pandemia si vedevano molto spesso i cartelli “affittasi” o “vendesi” che sembravano durare un’eternità, oggi molti di quegli avvisi sono scomparsi. E’ ricominciato il riciclo».

Chi è stato costretto a chiudere?

«Innanzitutto chi, avendo già maturato dei piccoli debiti, si è trovato con poco merito creditizio e, quindi, non ha potuto ottenere dalle banche quei soldi indispensabili a riqualificarsi sul mercato».

Chi non ha chiuso?

«Chi ha saputo reinventarsi con il delivery, chi ha saputo utilizzare i social e le vendite online aprendo, quindi, altri canali di vendita. Ha ricreato così quella base economica capace a farlo resistere prima al Covid e oggi al caro-energia. Quello delle proibitive bollette di luce e gas è un tema da affrontare con decisione: le imprese italiane del terziario risultano pesantemente svantaggiate. Nonostante gli interventi del governo per l’energia elettrica – per esempio – i nostri bar, hotel e ristoranti sono profondamente penalizzati da costi ancora insostenibili che ne minano l’attività. Caro-bollette e caro-inflazione spingono verso una recessione che, seppur di ridotta intensità, non può coglierci impreparati. Dobbiamo recuperare competitività ed è necessario rafforzare sostegni a famiglie e imprese».

Chi è il commerciante 4.0?

«Quello che ha l’antenna giusta per captare i cambiamenti del mercato. E, per capire e intercettare le nuove esigenze dei clienti, sta in contatto continuo con i suoi colleghi e con l’associazione. Il negozio deve rimanere centrale nel nostro mestiere, ed è centrale infatti anche nel processo di acquisto, ma deve collocarsi in una più ampia strategia di coinvolgimento del consumatore. Si sa, per esempio, che moltissimi potenziali clienti effettuano una ricerca online prima di acquistare nel punto vendita. Quindi negozio, cellulare e smartphone devono andare di pari passo. Si possono, per esempio, utilizzare i social per reclamizzare offerte personalizzate e promozioni. La parola e-commerce deve entrarci in testa».

Gli acquisti online stanno avendo riflessi non solo sulle vendite, ma anche sulla stessa struttura distributiva delle merci che potrebbero ridisegnare gli spazi urbani.

«Su questi cambiamenti epocali, la nostra attenzione è massima. I negozianti bravi sono quelli che hanno imparato a intercettare i desideri dei clienti – che vanno capiti, seguiti, coccolati – anche attraverso le nuove strategie di comunicazione. Ma si diventa esperti nell’utilizzo delle nuove tecnologie con la formazione continua. Nelle difficoltà, noi commercianti siamo cangianti e siamo abili a metterci le pezze. Invece dobbiamo essere abili anche a mantenere e sviluppare competenze che ci consentono di agire nel modo più efficace possibile. E l’associazione, in questo, è smart per i commercianti che sentono il bisogno di stare al passo con i temi, di capire le nuove tendenze dei consumi e di imparare le regole del marketing. Nessuno nasce imparato; lo faccio anch’io che ho un negozio di panettiere da tempo. Certo, lo shopping digitale praticato dalla grande distribuzione organizzata e i camioncini con sopra scritti i nomi dei supermercati che circolano nelle vie cittadine portando la spesa a casa dei clienti, per noi sono un pericolo».

Come battere il supermercato?

«Con la qualità. Non solo qualità dei prodotti, ma anche dei servizi che un negozio può rendere sartoriali, cioè a misura dei clienti. E, quindi, può agire in maniera più chirurgica sui vecchi e nuovi acquirenti conoscendo le loro esigenze. Chi compra, infatti, ama anche ricevere consigli dal negoziante e chiede un’assistenza specializzata. Ma per riuscirci, sarà necessario promuovere l’attività sul territorio per farci scoprire e conoscere da abitanti e turisti: è un lavoro che va fatto online attraverso iniziative, attività e azioni che diventano strategie di marketing. Senza dimenticare, però, che un acquisto in store è comunque più redditizio di un ordine online perché il margine dell’acquisto è eroso da fattori quali le spese di spedizione, i costi di gestione e i resi».

Resta il tema sulla carenza della manodopera. Che fare?
«Il costo del personale per un piccolo negozio è il costo principale. Quindi, pensare di mettere via 20- 30mila euro in più l’anno per assumere un dipendente non sempre è possibile. Quindi, il governo abbassi ulteriormente il cuneo fiscale, agisca con sgravi fiscali sui costi energetici, rafforzi la filiera delle garanzie per l’accesso al credito e rinnovi le moratorie dei prestiti bancari e quelle fiscali. Ma aiuti molto anche le famiglie che sono i principali clienti dei negozianti. Bisogna liberare i consumi delle famiglie agendo sull’Iva e sostenere l’occupazione agendo sul cuneo fiscale e contributivo mettendo più soldi nelle tasche dei lavoratori dipendenti. Perché possiamo ragionare dei massimi sistemi finché vogliamo, ma poi siamo davanti ad interi comparti che rischiano di disperdere competenze, storie familiari e imprese radicate sul territorio».

C’è ancora spazio per l’innovazione nel commercio? 

«Certamente. Innovazione nel saper vendere meglio, come abbiamo detto prima. Innovazione nei laboratori per chi li ha, nei sistema della distribuzione, ma bisogna innanzitutto prestare grande attenzione alla gestione conoscendo in tempo reale cosa va e cosa non sa; monitorare il magazzino è fondamentale per un commerciante. Nelle nostre botteghe procediamo ancora grazie all’esperienza, ma il digitale ci può aiutare a prevedere le esigenze del mercato e il futuro. Il pericolo dell’investimento sbagliato è il grande spauracchio di ogni imprenditore, grande e piccolo».

Una città attrattiva è una città che fa vivere il commercio. Bisogna, quindi, ripensare i centri storici?

«Certo. Cremona ha vie centrali con illuminazione scarsa, e le Ztl tendono a desertificare il centro storico. Rigenerare i centri storici significa anche riportare luoghi e strade ad essere di nuovo densi di scambi, relazioni, socialità e vita economica. l rischi di non “riavere” i nostri centri storici come li abbiamo visti e vissuti prima della pandemia è molto concreto e questo significa minore qualità della vita dei residenti e minore appeal turistico. In questo senso Cremona presenta già delle profonde cicatrici, mentre si comincia già a vedere qualche segno sulla pelle anche a Crema».

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