Diego Toscani, presidente di Promotica Spa. Sfida digitale

«Con la quotazione, ho comprato le imprese al top a cui puntavo»

Forte crescita con l’acquisizione di «Grani & Partners» e un ramo d’azienda di «Giglio Group»

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Diego Toscani, 51 anni, ha già fatto molti mestieri: il sommelier, il giornalista per Tv e giornali, il sindaco di Sarezzo, il presidente di una squadra di calcio, di una filarmonica, dell’Azienda municipalizzata della Valtropia, il proprietario di «Hops!» (pizzeria-ristorante-micro birrificio), ma anche il venditore di pentole in Valtrompia e, infine nel 2003, ha fondato Promotica in un piccolo appartamento di Desenzano che ha portato al successo e in Borsa: 4,2 milioni raccolti all’Ipo e 28 milioni di market cup all’Ipo (cioè di capitalizzazione di mercato, lo strumento finanziario che valuta il valore totale delle azioni di un’azienda in circolazione). Toscani è fondatore, presidente e ceo di Promotica, società leader in Italia e all’estero nel settore loyalty (letteralmente “fedeltà”). Tradotto a pane e salame, il suo mestiere è principalmente quello di pensare, progettare e realizzare le campagne di marketing e raccolta punti della GdO (Grande distribuzione organizzata, cioè dei super e ipermercati) e di altri settori produttivi, come quello farmaceutico, per fidelizzare i clienti. In questi anni si è aggiudicato campagne nazionali per milioni di euro per Selex, Coop Italia, Crai, Carrefour, Conad. Rilevanti sono state anche le campagne realizzate per clienti internazionali in Croazia, Bulgaria e Lituania. Ha un ufficio in Serbia e un altro a Hong Kong. «I soldi sono stati sicuramente il primo traguardo della quotazione, ma l’obiettivo più importante è stato quel- lo della visibilità e dell’autorevolezza che ti garantisce lo standing di società quotata. Quando un’azienda è quotata può accedere a strumenti finanziari più adatti a fusioni e acquisizioni come scambio di azioni, bond e altro» racconta.

«Ho fatto tanti mestieri e non ho rimpianti. Li raccomando ai giovani universitari: approfittate di questo periodo per sperimentare varie attività perché sono anni nei quali potete provare di tutto. Potevo fare il sommelier o il giornalista o altro ancora».

Invece è diventato imprenditore.

«Non subito. Il mio primo lavoro è stato quello di vendere pentole. Infatti ho lavorato all’estero per una società francese che produceva e proponeva articoli casalinghi, poi per un’azienda in Valtrompia. Insomma, mi reputo un venditore di pentole».

Come è andata da sindaco?

«Me la sono vista brutta. Quando indossi la fascia tricolore, devi essere a disposizione 24 ore su 24, e 7 giorni su 7. In Promotica avevo costruito un’organizzazione nella quale avevo delegato molte responsabilità ai manager. Questo è stato il lato positivo perché, al momento della quotazione, avevo già a disposizione un’azienda managerializzata che piaceva molto agli investitori, ma per l’altro verso la mancata presenza dell’imprenditore titolare in azienda aveva creato dei problemi perché era una conduzione un po’ ibrida: io c’ero e non c’ero, e le deleghe non erano così chiare e complete; infatti, nel 2014 abbiamo fatto l’unico bilancio in perdita, ritornato in pari nel 2015. Il mio commercialista mi aveva detto a muso duro: “Continua pure a fare il sindaco, ma se chiudi Promotica adesso non fai troppi danni”. A quel punto ho rimesso di più la testa nell’azienda, ma dando più responsabilità precise e carta bianca ai manager. Non è stato facile, anzi è stato proprio faticoso per un imprenditore unico di una società accettare di privarsi del proprio potere».

Come mai si è deciso a quotarsi in Borsa?

«A metà del 2018, in Promotica è venuto Fabio Arpe, uno tra i principali player della consulenza finanziaria e, analizzando i dati, mi ha convinto a quotare l’azienda. Poi il tutto è stato rimandato fino al 2019. Quando tutto era pronto nella primavera del ’20, è scoppiato il Covid. Rimandiamo l’evento all’autunno del 2020, ma tutta l’Italia era ancora sbarrata. Quando ci siamo quotati nel 2021, ho suonato una piccola campanella in ufficio perché la Borsa era fisicamente chiusa».

Non ha temuto che la quotazione potesse fi– nire male?
«Un imprenditore deve fare i conti con la paura. Se non ha il coraggio di affrontare razionalmente le proprie angosce, è meglio che cambi mestiere».

Che ne ha fatto dei soldi della quotazione?

«Sono serviti anche alla crescita per linee esterne e allo sviluppo dimensionale finalizzato ad aumentare la competitività del gruppo. Con quei 4,2 milioni ho acquisito da Giochi Preziosi per 2 milioni “Grani & Partners”, player internazionale nel mercato promozionale per prodotti dedicati al mondo del bambino, e il ramo d’azienda Incentive & loyalty di Giglio Group per 1,2 milioni, leader del settore e-commerce a livello internazionale e presente sul mercato della loyalty digitale: sofware e piattaforme per la gestione e l’analisi dei dati».

Il digitale sarà l’arma vincente?

«Certo. Anni fa si vendeva il bello nelle campagne promozionali, ma non c’erano garanzie di successo. Ora, grazie agli strumenti di intelligenza artificiale capaci di realizzare calcoli più velocemente e più precisi, possiamo garantire la cosa più importante: l’obiettivo raggiunto senza sprecare soldi».

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