Iniziamo da questo numero di Wip a occuparci delle startup in modo più strutturato e continuativo. Un mondo affascinante, ma anche spietato nel quale soprattutto i giovani imprenditori misurano le loro idee imprenditoriale con la durezza del mercato.
Nel complesso, in Italia oggi si contano oltre 13mila startup che, insieme a 2.000 Pmi innovative, hanno generato l’anno scorso un valore della produzione di oltre 9,3 miliardi, dando lavoro a 62mila persone. Secondo una ricerca dell’Ocse, peraltro, sono loro il motore della crescita e della capacità di innovare quanto mai strategica nell’era dell’Intelligenza Artificiale. D’altra parte, OpenAI, artefice di ChatGpt, è stata sino a poco tempo fa una startup, come già prima di lei Amazon, Facebook e altri colossi del digitale.
Non vi è però una ragione per cui il romanzo delle startup debba essere sempre americano.
L’Italia ha tutto per eccellere; le università, gli imprenditori e un mercato di capitali in crescita. Ora bisogna soltanto dare continuità culturale, finanziaria e politica: le startup di oggi sono le grandi imprese di domani.
E a Cremona? Da quando Nicolò Dossena è diventato managing director del Crit-Distretto per l’innovazione e il professor Fabio Antoldi , direttore del Cersi, si sta occupando del corso di laurea
in Innovazione e imprenditorialità digitale, mentre è prossima apertura del nuovo campus nella sede cremonese del Politecnico di Milano che ha già formato alcune startup di successo, l’atmosfera nei confronti delle giovani imprese innovative si è fatto più favorevole e stringente.
Ma queste realtà, forse, oggi non sarebbero sorte nella città del Torrazzo se non ci fosse stata a Cremona una prima “rivoluzione” tecnologica negli anni Novanta del secolo scorso e che ha creato il giusto humus per la futura diffusione di una cultura digitale.
Uno degli artefici di quella svolta fu, in concorso con altri, Gerardo Paloschi, 61 anni, giornalista e oggi Head of Regional Affairs in Finarvedi.
Ne parlo qui perché di quei precursori tecnologici è quello che ho conosciuto
meglio. E perché ci può raccontare di prima mano quello che è successo da 30 anni fa ad oggi.
Lui, Internet e il digitale li ha sempre avuti nel sangue.
A metà degli anni ’90 a Cremona c’era molto fermento per Internet e le sue potenzialità.
Cosa ricorda di quegli anni?
«Sono passati circa trent’anni da quando a Cremona ha iniziato a prendere corpo l’idea che le nuove
tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) potessero rappresentare un elemento abilitante dello sviluppo locale e della competizione territoriale.
Ricordare quei tempi significa ripensare per me a letture allora fondamentali come “Comunità Virtuali” di Howard Rheingold o “Essere digitali” di Nicholas Negroponte.
Erano anni nei quali parole come “Villaggio globale”, “autostrade informatiche”, “cyberspazio”
o “cittadinanza digitale” non avevano ancora una definizione compiuta perché si era in un tempo nel quale “non si era più, e non si era ancora” … Una terra di mezzo ancora da scoprire e, anche per questo, molto affascinante».
Si era davvero all’inizio.
«Ricordo che a metà degli anni ‘90 si considerava una grande invenzione la tecnologia dell’ingegnere
canadese Towshend che consentiva di costruire i primi modem analogici a 56 Kbps.
Erano anni nei quali c’erano voci ancora non univoche sul futuro di Internet. Il dibattito nel nostro
Paese era anche tra coloro che ritenevano Internet il media del futuro e chi immaginava che per le
difficoltà tecniche e di interfaccia la rete sarebbe rimasta abitata da “nerd” e da “smanettoni”. Quello
che è realmente accaduto è sotto gli occhi di tutti. Oggi gli utenti Internet nel mondo sono circa
5.30 miliardi, pari al 66% della popolazione mondiale e l’utente medio globale di Internet trascorre
sette ore online ogni giorno in compagnia dello smartphone».
Perché Cremona insieme a poche città italiane come Milano e Bologna furono pioniere nella telematica civica e nelle infrastrutture digitali?
«Credo per due ragioni di fondo: la prima risiede nel fatto che nella nostra città era già attivo il Politecnico con corsi legati all’informatica. Intorno a questo polo innovativo si aggregarono un gruppo di persone che credevano fortemente nei valori della telematica civica. Persone esperte come Carlo Todeschini e il suo team, Gianni Bassini, Gianluca Attolini, Marcello Cepparulo e molti altri…Nacque così RCCR la rete civica di Cremona, mentre a Milano si consolidava l’esperienza del Laboratorio di Informatica civica e della Rete Civica fondata dalla professoressa Fiorella De Cindio e a Bologna prendeva vita il progetto Iperbole. Grazie a RCCR le Amministrazioni pubbliche iniziarono ad approcciare il mondo digitale… I primi server di
posta elettronica del Comune di Cremona e della Provincia venivano gestiti da RCCR. Fu uno strumento
fondamentale, un primo ponte tra mondo reale e mondo digitale, una vera e propria palestra telematica per l’uso delle tecnologie e per la comprensione di parole come e-democracy».
E la seconda ragione quale fu?
«La seconda ragione più legata al tema infrastrutturale penso possa risiedere nel ruolo centrale
che aveva in quegli anni Aem Cremona nel realizzare in città i servizi pubblici locali. A metà degli anni ’80 la Municipalizzata aveva realizzato la rete del teleriscaldamento (tra le prime città italiane) posando chilometri di tubi vuoti in previsione di futuri servizi. Alla fine degli anni ’90 si pensò di sperimentare, proprio grazie alla disponibilità di tubazioni vuote, l’infilaggio di fibra ottica collegando prima le sedi di
Aem e poi il Comune di Cremona.
Stava nascendo così una delle prime MAN italiane (Metropolitan Area Network) ad alta velocità
che prevedeva già il collegamento FTTH (fiber to the home). Negli anni sono stati posati a Cremona
e in alcuni paesi della zona circa 11mila chilometri di fibra ottica con diverse migliaia di edifici collegati
e più di 10mila clienti tra enti, aziende e cittadini».
Chi prese la decisione?
«Fu l’allora presidente di Aem, Giuseppe Tiranti, a decidere di affiancare ai servizi tradizionali (acqua, luce, gas e teleriscaldamento) anche quelli più innovativi, scelta poi confermata dai presidenti che seguirono. Nacque così Aemcom, uno dei primi operatori italiani di banda larga. Aemcom non aveva solo infrastrutture, cioè chilometri di fibra ottica sottoterra, ma anche servizi come navigazione internet veloce, posta elettronica e telefonia VoIP. L’idea sottostante era che i servizi digitali dovessero diventare in qualche modo un servizio universale da garantire a tutti così come è stato per l’acqua, l’energia elettrica
e il gas».
Oggi Aemcom non c’è più
«No, ma nel frattempo il mercato delle TCL a Cremona è evoluto e con la nascita di LGH Aemcom si
è fusa con Cogeme Informatica e Pavia Network ed è diventata Lineacom e, più recentemente, è confluita in A2A Smart City».
Aemcom in quagli anni è stato un punto di riferimento in Italia per il contrasto al digital divide.
Tu allora eri Direttore Generale.
«Sì, ma è una positiva responsabilità che va condivisa con i direttori che mi hanno preceduto come Aurelio Bertani, Libero Zini e Maurizio Baldini e poi con i tanti colleghi che lavoravano con sincero entusiasmo per dare vita ad un progetto di futuro per Cremona».
Il digital divide era un fenomeno sociale pericoloso perché divideva in due i territori: quelli che avevano infrastrutture e servizi digitali e quelli che ne erano esclusi.
«Allora mancava un piano nazionale o forse si credeva che il mercato competitivo delle TLC avrebbe portato infrastrutture digitali ovunque. Non fu così e ancora oggi esistono zone del Paese con gravi difficoltà di connessione.
Il rischio per Cremona ed il suo territorio era quello di restare per lunghi anni in digital divide primario,
cioè in una condizione sfavorevole dal punto di vista sociale ed economico per la mancanza di servizi digitali avanzati dovuta alla assenza di reti broadband o ultra-broadband. Nei primi anni 2000 nella provincia di Cremona oltre l’80% dei comuni era in pieno digital divide primario. Da qui il progetto di Aemcom di rete WiFi a larga banda che negli anni ha poi raggiunto tutti i comuni della provincia, assicurando connessioni veloci e servizi avanzati. Anni importanti nei quali sono cresciute e di sono sviluppate realtà decisive per lo sviluppo dell’ICT a livello territoriale, penso ad esempio al Consorzio IT di Crema».
Avete incontrato “nemici” lungo il cammino?
«Nemici personali no di certo, semmai persone o istituzioni che non credevano in uno sviluppo
così tumultuoso delle nuove tecnologie e soprattutto della loro centralità in ogni ambito della
vita personale, sociale ed economica.
Non si parlava come oggi di digital transformation… e quindi investire in fibra ottica o in reti
WiFi poteva sembrare un investimento a perdere… Per la verità va anche detto che negli anni nei
quali maggiori sono stati gli investimenti le Amministrazioni che si sono succedute non hanno mai
fatto venir meno il loro impegno e questo al di là del colore politico».
E come è poi nato il Polo Tecnologico a Cremona?
«Il progetto di Polo Tecnologico a Cremona si concretizza nel 2016 dopo diversi anni di gestazione
all’interno di quello che potremmo chiamare un ecosistema favorevole. La presenza del Politecnico
e della Rete Civica e delle sue evoluzioni, la disponibilità di infrastrutture digitali, l’esistenza
in città di realtà aziendali dell’ICT di livello nazionale come Microdata o Mailup hanno spinto
molte volontà a creare un luogo fisico e, naturalmente, virtuale nel quale provare a disegnare una
traiettoria nuova di sviluppo per Cremona: quella di un distretto dell’ICT.
Così sono nati il Crit e il Cobox, il primo coworking di Cremona, luogo di nascita e aggregazione
di tante start up. E poi molte altre realizzazioni, come il Polo Verde, che oggi portano a dire che la visione dei primi firmatari del documento di indirizzo era corretta.
C’è ancora tantissimo da fare se consideriamo che in Italia siamo quartultimi in Europa per popolazione
con competenze digitali almeno di base (46%), contro una media UE del 54%».
Eravate un bel gruppo di pionieri. «Sì, veri compagni di viaggio come Alfredo Lupi e Carolina
Cortellini, Matteo Monfredini, Gianni Ferretti… e molti altri.
Tante persone ma anche molte istituzioni cremonesi che hanno accompagnato e creduto nel
progetto di valorizzazione del territorio, primo tra tutti il Comune di Cremona».
Nel 2018 hai lasciato il digitale e sei passato alla direzione delle relazioni territoriali di Lgh, ormai divenuta A2A. La Cremona digitale è andata avanti con nuovi progetti?
«Certamente sì… la dimensione di Cremona digitale è cresciuta, la spinta propulsiva iniziale ha trovato
il modo di crescere ed evolvere anche grazie al consolidamento negli anni di quanto realizzato e ad ulteriori iniziative e a nuove persone che, come in una ideale staffetta, hanno saputo portare visioni, idee ed entusiasmi. Penso, ad esempio, alla nascita a Cremona presso l’Università Cattolica del corso di laurea magistrale in “Innovazione e imprenditorialità digitale” curato dal professor Fabio Antoldi, oppure alle molte positive collaborazioni in essere tra Politecnico e Cattolica sui temi dell’Intelligenza Artificiale
o dello Smart Agrifood».
Ora ti occupi di relazioni istituzionali per un grande Gruppo industriale… cosa ti ha lasciato l’esperienza quasi ventennale nelle nuove tecnologie digitali?
«È una bella domanda… credo di aver maturato la profonda consapevolezza dell’importanza per
l’uomo di non confondere mai i fini con i mezzi. Le tecnologie offrono straordinarie opportunità,
ma sono il mezzo mentre il fine è lo sviluppo umano. Confondere i piani sarebbe fatale».
Perché?
«Perché Internet e le nuove tecnologie hanno in sé una capacità trasformativa della realtà che va
ben oltre la nostra immaginazione. Cento anni dopo la rivoluzione di Gutemberg, l’Europa non
era l’Europa con in più la stampa a caratteri mobili, era semplicemente un’altra Europa. Oggi
siamo di nuovo di fronte ad un cambio di paradigma reso ancora più sfidante dall’arrivo dell’Intelligenza
artificiale. Ecco perché non dobbiamo scambiare i mezzi per i fini e dobbiamo stare con responsabilità
sulle frontiere dell’innovazione.
Non solo per scrutare il futuro ma, soprattutto, per indirizzare la tecnologia verso il potenziamento
dell’umano non per trascenderlo».