L’editoriale del Direttore Sergio Cuti

Il lavoro è l’unico ascensore sociale

Facebook
Twitter
LinkedIn
Pinterest
Pocket
WhatsApp

N.05 Giugno 2023

E’ uno strano Paese il nostro – e non da oggi – se parliamo sempre di lavoro che manca mentre le aziende lamentano la scarsità di personale. Abbiamo tanti problemi storici: il record europeo dei Net (i giovani che non studiano e non lavorano), il dilagare del lavoro nero, un tasso di occupazione lontano dagli standard europei, una giungla di 900 contratti di lavoro nazionali, un’inadeguata integrazione fra mondo della scuola e quello delle aziende, l’ascensore sociale fermo sullo stop. Oltre a questo – anche se siamo tra i Paesi più indebitati al mondo – negli ultimi anni è esplosa una società dei diritti, dell’assistenza, della spesa a debito che ha minato l’economia.

Vita e lavoro sono due lame di forbice destinate ad allontanarsi sempre di più. Il lavoro sembra diventato meno importante, un peso di cui si potrebbe anche fare a meno e non il mezzo per costruirsi un futuro e una famiglia, esprimere una vita sociale, vivere con dignità. Quel che è grave è che si è anche infranta l’idea che studiare, formarsi, impegnarsi consenta di migliorare la propria condizione. Che i soldi si facciano con il lavoro.

Possibile che siamo rimasti in pochi a scrivere, costernati, che in Italia lavora solo il 39% della popolazione, mentre in Francia e in tutta Europa siamo al 55%? Che i salari rimangono bassi perché la produttività è bassa? Che se non si lavora, per forza di cose aumenta la povertà e la spesa assistenziale?

Un dato su tutti: in Italia, a fine 2008, dopo le crisi dei mercati finanziari, il debito pubblico era leggermente sotto il 100% del Pil, l’occupazione toccava i suoi massimi storici, i poveri erano 2,1 milioni, quelli in povertà relativa erano meno di 6,5 milioni, mentre la spesa sociale a carico della fiscalità generale era di 73 miliardi.

Oggi siamo a 2.762 miliardi di debito pubblico, pari al 145% del Pil, la spesa a carico della fiscalità generale è aumentata a quasi 157 miliardi e i poveri assoluti sono 5,6 milioni e quelli relativi a oltre 8,6 milioni. Come ritrovare quell’orgoglio che da Paese agricolo devastato dalla guerra quasi 80 anni fa ci ha fatto diventare una grande e ricca potenza industriale? Bisogna ritornare ad avere fiducia nell’impegno, nel lavoro e nel sacrificio in termini concreti, cominciando a disegnare un quadro fiscale a favore della crescita, come sarebbe nelle intenzioni del governo. Facendo cioè, pagare sempre meno tasse alle aziende che si sviluppano e generano occupazione.

Ha detto, Giancarlo Giorgetti, ministro del MES: «Arriviamo da qualche anno in cui è prevalsa la cultura per cui lo Stato ti doveva mantenere anche se non facevi nulla. Invece la riforma fiscale ti premierà se lavori e se migliori. Vale anche per gli imprenditori: se uno investe, promuove sviluppo e occupazione ha il diritto di essere tassato di meno». Lo speriamo.

Facebook
Twitter
LinkedIn
Pinterest
Pocket
WhatsApp

Iscriviti alla nostra newsletter!

Iscriviti alla newsletter