Si è svolto presso il CNEL l’evento «Studio sull’Automotive in Europa». Federmeccanica e sindacati di categoria si sono ritrovati nuovamente insieme per presentare ad Adolfo Urso, ministro per le Imprese e il Made in Italy, un nuovo studio per raffrontare le dinamiche dei sistemi automotive europei ed avere spunti utili a definire le azioni più efficaci da mettere in campo per gestire al meglio la complessa fase di transizione tecnologia ed ecologica che attende il nostro Paese.
L’automotive italiano ha ancora grandi potenzialità di innovazione, ma la dimensione piccola e frammentata delle imprese non permette di mettere in campo notevoli e coordinati investimenti senza una politica nazionale strutturata di supporto.
«Oggi è un altro giorno importante» ha dichiarato Federico Visentin, presidente di Federmeccanica, «a distanza da quando poco più di un anno fa noi, Fim, Fiom, Uilm abbiamo, per la prima volta insieme, presentato un posizionamento comune sul rilancio del settore automotive. È passato troppo tempo e troppo poco è stato fatto nel nostro Paese, mentre altri si sono già mossi. Vere politiche industriali devono ancora essere messe in campo, e anche attraverso confronti come quello di oggi, è possibile definire misure efficaci».
«Si deve tornare a parlare di sviluppo, puntando sulla crescita delle nostre imprese per avere quei rimorchiatori nazionali che mancano e attrarre investimenti dall’estero per alimentare le filiere del settore» ha continuato Visentin. «Abbiamo bisogno di certezze del quadro normativo e di strumenti utili per affrontare una transizione difficile. Ognuno deve fare la sua parte, noi con il sindacato lo stia- mo facendo».
Il direttore generale della VHIT di Offanengo e vicepresidente di Federmeccanica, Corrado La Forgia, a Roma si è espresso in modo molto chiaro: «Lo studio fatto insieme a Fim, Fiom e Uilm permette di acquisire consapevolezza. Non possiamo come sistema Paese rimanere fermi perché intorno a noi i nostri competitors vanno avanti veloci e rischiamo di rimanere troppo indietro. Serve un cambio di passo. Occorre definire un “Unicum Italiano” che ci consenta di continuare ad essere considerati un’eccellenza nel mondo. Il nostro marchio di fabbrica del “Made in Italy” deve essere anche un “certificato di qualità dell’Invented in Italy”, attraverso ricerca, sviluppo e innovazione di prodotto. La transizione ecologica da affrontare deve essere guidata dalla tecnologia e sostenuta da politiche industriali».