PMI Forum. Organizzato da Confimi Industria Cremona

Visioni da un futuro prossimo

A confronto docenti, esperti, imprenditori

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Un imprenditore che non ha una visione della sua azienda e non la
immagina come sarà posizionata anche a breve-medio periodo è
fuori gioco perché i mercati mutano velocemente. E’ questa la spiegazione del titolo del Pmi Forum (“Visione da un futuro prossimo”),
organizzato da “Confimi Industria Cremona” il 7 ottobre scorso al campus Santa Monica della Cattolica, fornita dal moderatore
del convegno, Giovanna Mancini, giornalista del “Sole 24
Ore”. Numerosi i relatori e gli spunti sui cui riflettere: sono stati il valore aggiunto dell’incontro.

Cremona, 10 e lode. E’ ottimista
per quanto riguarda la nostra provincia Franco Mosconi, professore
ordinario di Economia e Politica industriale dell’Università di Parma. A suo parere, infatti, Cremona e il suo territorio possono contare su una “robusta base manifatturiera e su una spiccata propensione all’export” che, però, vanno coltivate con investimenti in conoscenza (R&S, capitale
umano, ICT) e con fusioni o aggregazioni tra imprese (tramite joint venture, per esempio, nel campo dell’innovazione). Vedremo
se succederà.

Per l’Italia e l’Europa, invece, il pessimismo è palpabile. Il professore
ha fornito alcuni dati eloquenti. Eccone alcuni. L’Fmi accredita per il nostro Paese una crescita solo dello 0,7% decretando, così «un rallentamento della crescita del Pil». Dobbiamo aggrapparci ancora una volta ai 100 e passa distretti industriali disseminati su tutta la Penisola, ma soprattutto nel nuovo triangolo industriale racchiuso tra Lombardia,
Veneto ed Emilia Romagna nel quale lavorano Pmi e industrie
leader: qui la manifattura e l’export la fanno da padroni.

Cremona traina il gruppo. Se in Italia due aziende su tre sono familiari,
«questo dato è addirittura superiore a Cremona che arriva al 72%» avverte Mauro Iacobuzio, head of sales & relationship management Italy di Elite che ha analizzato i dati delle aziende cremonesi negli ultimi 2 anni.

E’ d’accordo con il professor Mosconi:
nella nostra provincia c’è «una maggiore concentrazione
(54,8%) nel settore manifatturiero». Negli ultimi 10 anni, la provincia
di Cremona ha riscontrato un tasso di crescita dei ricavi del
24%, un livello di redditività operativa (da 8,2% a 9,4%: il che significa
che ogni euro investito dà un 10% di redditività) superiore a quello delle aziende non familiari e, infine, nel nostro territorio sono molto diffusi (36,8%) i modelli di leadership con un singolo Amministratore
delegato.
I lati positivi finiscono qui. Infatti, circa un leader su quattro ha più
di 70 anni (incidenza che raggiunge il 30% nelle aziende di minori
dimensioni), sono pochi i giovani nei Cda (poco più di 2 aziende su
10 hanno almeno un consigliere under 40 anni), vengono esclusi
i “non familiari” dalla stanza dei bottoni (44,9% contro una media
nazionale del 39,9%) e le donne sono assenti in quasi il 50% delle
imprese familiari.

Fare rete fa bene al business. 

«Mettersi in rete» ha spiegato Domenico Sturabotti, direttore della Fondazione Symbola. Che
ha sottolineato altri quattro concetti chiave per competere e su
cui riflettere. Il primo: mettersi in rete, inoltre, attiva una serie
di fattori che servono all’azienda per assumere maggiori competenze
e arricchisce l’imprenditore con spunti e feedback. Il secondo:
essere sostenibili accelera i cambiamenti.
Il terzo: la circolarità spinge i soggetti a collaborare tra loro e al multi-utilizzo dei materiali; dal legno per imballaggi si possono
ricavare pannelli o mobili. Il quarto: per incrementare il fatturato
e l’export le aziende devono mantenere viva la filiera, farla crescere,
coltivare le relazioni.

Più manager in azienda. 

Quello di Fabio Antoldi, professore ordinario
di Strategia aziendale e di imprenditorialità alla Cattolica,
sede di Cremona, è stato uno degli interventi più lucidi. Che
cosa ha detto di così interessante? Che bisogna, innanzitutto,
stare con i piedi per terra perché il 95% delle nostre aziende sono
micro e meno del 5% ha dai 40 ai 49 addetti. «Con un apparato così
pulviscolare, è possibile competere a livello internazionale?» ha
chiesto. La dimensione diventa, dunque, un fattore cruciale perché
obbliga ad avere un assetto organizzativo più evoluto.
«Ma le dimensioni non bastano» ha sottolineato il professore. «Serve
più qualità». Quindi, più manager, ma anche livelli più alti di
managerialità. Non basta più, insomma, solo l’imprenditore che,
anzi, deve dare deleghe e obiettivi chiari ai manager, i quali, a loro
volta, devono poterli espletare in autonomia.

Infine, una vision innovativa:
«Per fare impresa oggi bisogna avere le competenze digitali adeguate: infatti, valgono di più i dati e le misurazioni che la narrazione».Stefano Retrosi, manager di Sace Fabio Casu, founder Modus Lab

Manager bravi sì, ma…, Marina
Forte è HR manager di Cieffe
Milano,impresa familiare con sede a Soncino, fondata 40 anni fa, cresciuta da 20 a 300 unità, organico composto da donne per l’88%, guidata oggi dalla seconda generazione con un Ceo giovane, azienda partner strategico dei principali brand mondiali del lusso nella confezione di capi prêt-à-porter di alta gamma che ha chiuso il primo semestre del 2023 con un fatturato di 26 milioni di euro (+25% rispetto al primo semestre 2022 e vuole chiudere l’anno con 50 milioni di fatturato).

Quasi rispondendo, senza volerlo, al professor Antoldi, Marina Forte ha sottolineato che Cieffe «sta andando verso una realtà sempre più strutturata e, quindi, ha bisogno sì di acquisire manager bravi nel loro lavoro e nell’operare per obiettivi, ma anche capaci di gestire le persone». E’ proprio nella gestione dei dipendenti che si incontrano le maggiori difficoltà.
«E’ un faticoso passaggio culturale» far capire alle persone «che per 40 anni hanno lavorato con gli stessi sistemi di valori» che processi e regole sono cambiati.
E per diventare più attrattivi, «stiamo pensando a nuovi sistemi di welfare e persino a dotarci di alloggi»

Export: meglio green e digitali.
E’ un mantra sentito in molti meeting, ma è innegabile, come sostiene Stefano Retrosi, regional manager sales Pmi Nord di Sace «che le imprese che investono in sostenibilità e digitalizzazione sono anche quelle che esportano meglio: 20% in più di quelle che non stanno facendo alcuna transizione».

Nel 2022, oltre il 60% delle Pmi e il 40% di quelle piccole sono diventate più green e digitali. Un dato interessante questo fornito da Retrosi il quale ne ha aggiunto un altro: in Italia le oltre 200mila Pmi, pur costituendo solo il 5% circa del totale delle imprese, detengono un giro di affari di oltre 1.000 miliardi di euro, generano quasi il 40% del valore aggiunto nazionale e impiegano un terzo di tutti gli occupati.

L’export lombardo è cresciuto molto in questi anni, ma anche in provincia di Cremona è stato un buon 2022. Che ha visto i metalli di base e i prodotti in metallo balzare a 2,5 miliardi (+ 19,9% sul 2021), sostanze e prodotti chimici salire a 1 miliardo (+19,3%), prodotti alimentari e del tabacco incrementare fino a 857 milioni (+20%), i macchinari e apparecchi raggiungere i 768 milioni (+5,2%). Sono stati proprio
questi ultimi ad avere un incremento nel primo semestre 2023 su quello del 2022 (+20,8%), ha tenuto la chimica (+0,8%), mentre i metalli di base e i prodotti in metallo sono calati del 20% e gli alimentari del 4,3%.

Non scelta, ma obbligo. Fabio Casu, founder di Modus Lab, è un relatore abituale ai convegni di Confimi Industria Cremona perché analizza un argomento strategico per le aziende, gli Esg (Environmental, social e governance).
La sua tesi è questa:
«Quando si parla di governance, se l’azienda è gestita in maniera strutturata e da bravi manager, il passaggio generazionale è più facile.
Così, se l’impresa tiene buoni rapporti con scuole e università, sarà più facile fare scouting per accaparrarsi i talenti. Infine, essere sostenibili significa avere un miglior rating in banca. Casu non ha dubbi: «Essere in regola con i modelli Esg non sta diventando più una scelta, ma un obbligo con banche, clienti, fornitori e PA». In sostanza, questo è il suo consiglio: «Per diventare sostenibili, bisogna pianificare un percorso graduale nel breve-medio- lungo periodo. Non è una gara di 100 metri, ma bisogna pur tagliare il traguardo».

Employer branding e talent attraction.

Moira Pagnoncelli, direttore amministrativo e finanziario Salchi Metalcoat: «La sostenibilità è una scelta e i benefici di questa scelta sono stati evidenti per la nostra azienda con impatti forti sulla soddisfazione di clienti, fornitori e banche, sulla reputazione aziendale in termini di employer branding e talent attraction e, infine, sulla soddisfazione dei dipendenti in ambito welfare e HR».

Promossi & Bocciati. Anche questo relatore, Michele Merlo (end user sustainability manager di Schneider Electric), ha parlato di sostenibilità usando termini categorici: «Chi non è in linea con questi parametri sarà tagliato fuori dal mercato e chi si è preso l’impegno di raggiungere questi obiettivi e, poi, non ha mantenuto le promesse, avrà un danno economico». E se Schneider Electric «vuole aiutare le aziende a produrre in modo più sostenibile», non c’è dubbio che la sostenibilità ha dei costi, ma «se guardiamo all’alimentare bio scopriamo che i consumatori sono disposti a pagare prezzi più alti».

La qualità paga. «Senza innovazione, le imprese chiudono» ha
detto senza mezzi termini Luca Fumagalli, professore associato del Politecnico di Milano, dipartimento di Ingegneria Gestionale. «e se vogliono sopravvivere devono puntare su prodotti di qualità ».

AI ok, ma decide l’uomo. Andrea Mattioli, people and culture manager di fabbrica digitale, ha svelato che l’Intelligenza Artificiale è con noi fin dal 1966 con la prima versione di un sistema chatbot ed è uno strumento utilissimo per alcuni scopi e settori, «ma eviterei di farle prendere decisioni riguardo alle strategie aziendali».

Sì alla cybersecurity. Andrea Mazzini, founder di Execurity, esperto di cybersecurity. «Senza i dati, non andiamo da nessuna parte, e proteggerli significa proteggere il business». Mazzini ha consigliato di lasciar perdere la narrazione un po’ “romanzata” dell’hacker con cappuccio sulla testa che, nella penombra, batte i tasti del computer. «Abbiamo a che fare, invece, con organizzazioni criminali che agiscono su scala mondiale per ottenere vantaggi economici a danno delle imprese rubando i dati e chiedendo i riscatti». Se la cybersecurity è d’obbligo, chi se ne deve occupare nelle aziende? «Tutti» ha sottolineato Mazzini, «supportati dalla tecnologia, da tecnici competenti e da adeguati processi organizzativi».

Formare per vendere. Gianluca Calvani, esperto della crescita commerciale e organizzativa delle Pmi, Sales coach, ha sottolineato la necessità «di maggiore formazione per la vendita e un miglioramento delle competenze».

Video marketing. Andrea Ferrari, Managing Director di Filrouge Srl, si è soffermato su tre filoni d’interesse. Ha evidenziato, innanzitutto, come oggi viene maggiormente utilizzata l’Intelligenza artificiale: contenuti personalizzati (52,8%), creazione di contenuti (49,2%), soluzioni relative al marketing, miglior customer service (26,4%%), Data analisys and reporting (24,8%), customer segmentation (21,5%), l’integrazione di realtà virtuale e realtà aumentata (10,2%).

Ha affrontato, poi, il tema dei social media: necessari e indispensabili per un rapporto più empatico con i clienti. «Il 74% della Generazione Z, per esempio, usa abitualmente Tik Tok per la ricerca,mentre il 51% lo preferisce addirittura a Google perché dà risposte basate sui video (69%), più in linea con le aspettative (65%) e più personalizzate (47%).

Infine ha approfondito la questione dei molteplici e diversi codici comunicativi: ogni generazione ha il suo. E di ogni generazione ha individuato aspirazioni, comportamenti, attitudini verso l’IT, il lavoro e i mezzi di comunicazione nei quali si assiste, generalmente al «dominio dei video marketing e dei contenuti brevi».

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