Maxi-bollette/2. Marco Mariotti, Vice presidente vicario di Apindustria Confapi Brescia

«Bisogna tornare al carbone nei prossimi due anni»

Per superare la crisi serve «un enorme debito europeo come è stato fatto ai tempi del Covid».

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«La paura legata alla scarsità di materie prime si sta ridimensionando», osserva Marco Mariotti, vice presidente vicario di Apindustria Confapi Brescia, un’associazione di categoria forte di oltre 1.300 aziende iscritte. Mariotti è anche titolare della Sidermariotti srl, azienda siderurgica di Pontevico, al confine tra i territori cremonese e bresciano. La sua è una delle aziende cosiddette energi- vore e dunque ha il polso della situazione per commentare quanto si sta profilando all’orizzonte. «Il mercato delle materie prima è in fase di riassestamento, l’offerta torna a superare la domanda e si comincia ad avvertire un calo dei prezzi. Tuttavia, ormai da mesi e senza soluzione di continuità, è emerso un nuovo tema a dominare l’attenzione: il rincaro del costo dell’energia. Chi ha fatto il contratto a prezzo chiuso è chiaramente più avvantaggiato. Non dico che non abbia subito aumenti, anche notevoli, ma non c’è paragone con la situazione di quanti hanno preferito la soluzione spot. Certo, anche chi si è affidato al prezzo fisso sta incontrando difficoltà, perché sono molti i fornitori che incontrano problemi di liquidità e di conseguenza chiedono una revisione del contratto o un’anticipazione ai clienti».

Che dire? C’è confusione nel settore energetico e la situazione è complicata. Francia e Germania, per fare un esempio di Paesi a noi vicini, stanno già correndo ai ripari, in certi casi anche provvedendo a nazionalizzare le aziende energetiche, ma Mariotti non si ritiene colto di sorpresa. «D’altronde, per quanto mi riguarda, che si sarebbe verificato un’enorme crisi di liquidità in questo settore lo dicevo dallo scorso gennaio. Ci sono aziende energivore, anche piccole, penso a moltissime Pmi, che stanno entrando in un periodo di grande difficoltà. Come tutti gli imprenditori mi ritengo ottimista per natura, ma questa volta sono veramente preoccupato. Il 30% dei nostri associati, non certo una percentuale irrisoria, sostiene che, se entro poche settimane il prezzo non rallenterà, dovrà fermare la sua produzione. Insomma, l’ultimo trimestre del 2022 si annuncia drammatico: non si parla più di tempesta, ma di un vero e proprio ciclone. E il problema è che non vedo il Governo reattivo su questo fronte».

Cosa occorrerebbe fare, secondo lei? «Servirebbe un enorme piano di indebitamento europeo, da attuare già domani mattina per intenderci, perché non c’è tempo da perdere. Un piano dello stesso importo stanziato per quello contro il Covid; è l’unica possibilità per poter superare questa crisi. Ma non solo: serve anche un ingente ritorno alla produzione fossile, semplicemente perché è necessaria, se vogliamo davvero affrontare una crisi che si preannuncia di lunga durata, e anche intensa, soprattutto per quanto riguarda i prossimi due anni. Qualcuno, infatti, non ce la farà e dovrà essere aiutato. Mi rendo conto che tutto questo cozza con l’obiettivo ufficiale europeo di conseguire la neutralità climatica per il 2050, ma va pur detto che quest’ultima è una scelta ideologica, di fatto qualcosa di analogo a un credo religioso. E d’altra parte si tratta di una decisione che è stato possibile adottare quando si aveva la piena disponibilità del gas russo e, di conseguenza, si riteneva che si sarebbe potuto contare su una transizione “dolce” verso le fonti rinnovabili. Ora, con tutta evidenza, sarà questa la prima questione da riporre nel cassetto, se si vorrà davvero superare l’uragano che incombe».

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