Lo scontento sta diventando generale. Sono scontenti anche gli imprenditori per il caro-bollette che, al di là del pesanti costi, incrementa la concorrenza sleale di Paesi dove ci sono stati solo piccoli incrementi energetici. Se nelle settimane scorse, infatti, il prezzo del gas in Italia si aggirava sui 251 euro al Mgwh, in Turchia si paga 82 euro, in Brasile e
India 77, in Cina e Messico 68 e negli Usa addirittura 31. E’ evidente che così continuando, le nostre imprese perderanno sempre più quote di mercato. Infatti, a rischio ci sarebbero 60mila aziende lombarde.
Ma è anche vero che, riguardo all’autonomia energetica, molti imprenditori hanno fatto solo piccoli investimenti preferendo mettere i soldi da altre parti. Così come è vero che sul price cap al prezzo del gas si sta spaccando l’Europa con Germania, Olanda e alcuni Paesi nordici che non mostrano la minima voglia di dare una mano alle nazioni
più penalizzate dalla crisi energetica e più esposte sul fronte del debito pubblico. Il nostro veleggia verso i 3.000 miliardi che di fatto sono garantiti dai tedeschi, posseduti almeno per il 10% dai francesi e finanziati dalla Bce.
Che fare? E’ arrivato il momento di fare seriamente i compiti a casa, il che significa rendere l’Italia meno dipendente, in tanti settori, da altre nazioni o da altri blocchi. Non si tratta di autotarchia, ma diventa difficile chiedere e ottenere un nuovo debito comune europeo finché non ricominceremo a estrarre gas sotto il fondale dell’alto Adriatico (dove ci sono in totale tra i 30 e i 40 miliardi di metri cubi di gas che non vengono estratti) o dai tanti pozzi sparsi per il Nord, e finché continueremo a contestare l’arrivo di rigassificatori e l’aumento delle capacità del Tap. E finché seguiteremo ad essere restii a farci da soli – per fare solo qualche altro esempio – le mascherine, i pannelli fotovoltaici, i chips pur avendone le capacità tecniche e industriali.
Lo stesso vale per i salari. Si sta parlando molto di salario minimo e di incrementi dei salari reali quando la produttività è aumentata di pochissimo (dello 0,3% dal 1995 al 2019, ultimo dato disponibile) contro l’1,2% di Francia e Germania. Prima di distribuire la ricchezza, bisogna averla prodotta: è lapalissiano, ma questa verità sta diventando sempre più misconosciuta.
A nostro parere, quindi, il vero rischio che stiamo correndo è la perdita collettiva dell’idea di progresso. E il modesto tasso di imprenditorialità giovanile è il sintomo di una società che è avversa al rischio e si sta quasi arrendendo al declino. Per fortuna c’è un’Italia che sta reagendo e imprenditori a cui la crisi non fa paura e le loro imprese continuano a funzionare grazie a investimenti, innovazione e talenti.