Logiman, guidata dall’amministratore unico Luigi Brega

Costruisce gli immobili della logistica per marchi mondiali, Fondi e Sgr

Dopo gli inizi difficili e la lunga crisi dell’edilizia dal 2016 c’è stata la svolta. Vi spieghiamo perché

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Prima della pandemia fatturava 20 milioni di euro, mentre a dicembre chiuderà il 2022 con 100 milioni e, con ogni probabilità, supererà questa cifra nel 2023. Non stiamo parlando di un’azienda farmaceutica che ha fatto i soldi con i vaccini anti-Covid, ma di un’impresa che costruisce immobili industriali su misura per le società della logistica e dell’autotrasporto. Come spiegare questo balzo di fatturato? L’accelerazione l’ha data proprio la pandemia con il boom dell’e-commerce che ha impresso un rapido sviluppo alla logistica del “cross docking” (letteralmente “attracco incrociato”; è un’operazione per cui la merce che arriva da più destinazioni viene scaricata e ricaricata direttamente su altri mezzi, senza sosta a terra). Le vendite online, insomma, hanno avuto e avranno sempre più bisogno di strutture logistiche, grandi e piccole, nelle quali camion e furgoni caricano la merce acquistata con le app e la distribuiscono sui vari territori.

Luigi Brega, Amministratore Unico di Logiman

Ma le prospettive non sono sempre state rosee per la Logiman e il suo amministratore unico Luigi Brega. Anzi, da parte sua ci sono voluti tanto coraggio e molta determinazione per riuscire a sopravvivere in un settore, quella della logistica, che negli anni Novanta era considerato ancora di nicchia, popolato di piccoli investitori locali che mettevano modeste risorse nel mercato dei corrieri espresso e neppure prendevano in considerazione la logistica dell’ultimo miglio. Gli investitori internazionali, d’altra parte, erano pochissimi e quelli istituzionali italiani non si occupavano di un settore che era agli albori.

I Fondi di investimento c’erano già, ma la tipica composizione del loro portafoglio era fatta per il 50% di uffici, per il 30% di retail, per il 10% di attività produttive e per un residuo 10% di logistica che, per essere presa in considerazione, doveva avere rendimenti intorno al 9-10%». Questa era la situazione 30 anni fa. Per le Pmi del settore, anche il coraggio non sempre è bastato per rimanere a galla, come negli anni della grave crisi edilizia che è durata dal 2008 al 2014 quando moltissime aziende del settore sono fallite. Non solo loro, ma anche tante aziende di prefabbricazione chiusero i battenti («Anche noi abbiamo rischiato di tirar giù la classica saracinesca per difficoltà finanziarie pur non avendo smesso di lavorare un solo giorno» ricorda). Ma lui, Brega, non ha mai mollato. «Ci siamo salvati anche perché siamo stati bravi a fidelizzare negli anni i clienti di alto livello che ci hanno sempre confermato la loro fiducia. Così le difficoltà incontrate e superate nel passato sono state il seme che ci ha permesso i successi di oggi» sottolinea.

Risata sonora, spigliato nei modi, anche ironico nel raccontarsi, Luigi Brega ha 54 anni e viene da una famiglia di agricoltori e viticoltori; infatti, nel piccolo e suggestivo borgo di Golferenzo di 175 abitanti, arroccato su un promontorio dal quale si domina la Valle Versa, nell’Oltrepò Pavese, possiede vigneti, una cantina e sta ristrutturando le proprietà di famiglia per farne un albergo diffuso.

Dopo il diploma in ragioneria, si è laureato in giurisprudenza a Pavia nel 1995 («Mi hanno sempre appassionato le materie giuridiche» racconta); ha avuto, poi, l’occasione di lavorare nei primi cantieri di logistica nell’hinterland milanese. «E’ stata come un’intuizione, ma lì ho capito che questo settore, che cominciava a svilupparsi, era quello che avrebbe potuto avere un grande sviluppo. Per fortuna, ho visto giusto ». Imparato il mestiere, nel 2000 ha fondato la sua Logiman («Logi sta per logistica e Man era il soprannome che mi avevano affibbiato da ragazzo. Unirli insieme, mi aveva divertito»).

Così ha cominciato a investire nelle aree industriali per costruire immobili per corrieri espresso partendo dall’acquisto dei terreni «con i soldi finanziati dalle banche o dalle società di leasing immobiliare, quando me li concedevano, poi contattavo i possibili clienti – privati e investitori istituzionali – e gli costruivo l’immobile “custom made”, cioè su misura. Ora, sapendo di avere scarse possibilità di collocare il prodotto sul mercato, ero costretto a tenere in pancia gli immobili a reddito che realizzavo».

Non solo: Logiman doveva occuparsi di tutte le pratiche burocratiche, anche quelle minute, relative a Piani regolatori, lottizzazioni e urbanizzazioni. Da perderci la testa avendo a che fare con la Pubblica amministrazione. Insomma, questa piccola azienda di stampo familiare, si è trovata a misurarsi con investimenti importanti senza avere risorse finanziarie adeguate, con la necessità di ricorrere sempre a finanziamenti bancari onerosi e che coprivano solo una parte dell’investimento, e con la concorrenza di colossi internazionali. «Per di più il nostro era ed è un mercato di locazione in quanto i pochi player italiani (tipo Bartolini, Artoni, eccetera) non utilizzavano aziende-sviluppatrici come la nostra, ma in- vestivano direttamente, mentre i grandi operatori dell’autotrasporto internazionale (tipo Tnt, Dhl, Exe- cutive, ora Gls) prendevano in considerazione solo la locazione degli edifici».

Se questa era la situazione, qual era la strategia di Logiman? «Nessuna strategia, purtroppo. Per stare sul mercato, diventava per forza necessario investire in terreni, urbanizzarli e costruirvi sopra, avendo davanti, spesso, un periodo di almeno 15/20 anni prima di rientrare dall’investimento. Inoltre, essendo piccoli, locali e non conosciuti a livello internazionale, avevamo due problemi: il primo era quello di dimostrare di saper realizzare certe tipologie di edifici molto particolari e specialistici, senza avere un adeguato track record, cioè una comprovata esperienza, da esibire; il secondo era rappresentato dall’esigenza di accreditarci presso i maggiori brocker internazionali del settore come, per esempio, Jones Lang Lassalle, Cushma & Wakefield e Cbre che tendono per loro natura a mantenere rapporti con società ben più strutturate della nostra e parlo di concorrenti che erano multinazionali come Prologis e Vailog, e Fondi come P3, Glp, Logicor, e infine, società super-capitalizzate come Techbau, Akno, eccetera».

Giganti, insomma. Come ha potuto il pigmeo Logiman fare la differenza in questo mondo di veri e propri Golia anche prima e durante gli anni della grave crisi edilizia? I suoi punti di forza sono sempre stati la competenza capillare per quanto riguarda cantieri e fornitori, ma anche rispetto a pratiche e permessi con la Pubblica amministrazione, la conoscenza del territorio con contatti immediati e diretti con proprietà e amministratori, la flessibilità e la rapidità nelle decisioni, i progetti custom made, l’aver sempre operato con lo stesso gruppo di dipendenti con pochi innesti da vent’anni a questa parte e, infine, l’affidabilità guadagnata anno dopo anno.

Un altro modo che ha permesso a Logiman di essere sopravvissuta in un ambiente super-competitivo sono state le partnership. Lo spiega bene Brega: «Dal 2010 al 2015 abbiamo lavorato in società o partnership, per fare alcuni esempi, con Akno (Città del Libro Mondadori a Stradella), Techbau (Ceva a Lazzate), Gazeley (L’Oreal a Villanterio), Vailog (Amazon a Casirate, Spilamberto e a Vicenza), gruppo Cis/Biasizzo (Tnt a Peschiera, Carrefour a Chignolo). Sono state esperienze importanti che ci hanno permesso di crescere e confrontarci con competitor di primo livello, spesso imparando dai nostri errori».

Sono stati anni, insomma, nei quali Logiman ha dimostrato di essere a prova di “due diligence”. E quando nel 2016 è arrivata la grande svolta con il ritorno in Italia dei grandi players internazionali in fatto di investimenti nella logistica – favorito dai rendimenti concorrenziali rispetto a Germania, Francia e Inghilterra, da aree potenzialmente più appetibili per sviluppi futuri e meno costose rispetto a Paesi più avanzati, dai tassi di interessi bassi o negativi – Luigi Brega era pronto ad accoglierli. Infatti sono venuti in tanti di loro a bussare alla porta dei suoi uffici a Crema, in via della Fiera.

«Si sono rivolti a noi perché negli anni avevamo in pancia gli immobili, mai venduti, in posizioni strategiche sui grandi snodi autostradali e vicino agli aeroporti, oppure affittati a società di importanza mondiale. Inoltre i Fondi iniziano la “due diligence” solo se possono effettuare acquisizioni di un certo valore commerciale; quindi nel pacchetto mettevamo dentro 4/5 immobili di pregio e non, diffusi in diverse location e li abbiamo venduti tutti insieme».

Non solo Fondi, ma anche le più importanti società di gestione del risparmio (Sgr). Che cosa è cambiato per Logiman dal 2016? «Molto. Ci siamo liberati dai debiti perché i soldi arrivano non più dalle banche, ma da investitori terzi, non siamo più stati costretti ad essere noi i general contractor, ma abbiamo cominciato a servirci di general contractor terzi e, quindi, abbiamo potuto concentrarci su quello che sappiamo fare meglio: trovare i terreni, progettare immobili, proporli ai clienti e realizzarli chiavi in mano preoccupandoci di risolvere tutte le difficoltà e complessità di tipo burocratico, autorizzativo e legale. Fondi e Sgr si fidano perché nel settore abbiamo acquisito un ottimo track record di sviluppi completati con successo». Una struttura agile da gestire con 9 dipendenti. «L’ho voluta così perché da una parte è più flessibile e veloce nelle decisioni e dall’altra risponde alle esigenze di un settore nel quale non c’è mai certezza: basti pensare ieri alla crisi edilizia e oggi alla guerra, al caro-energia e al caro-combustibili con il conseguente forte aumento dei costi di funzionamento delle filiere, all’inflazione, al rallentamento nelle supply chain (catene di fornitura) internazionali e alle titubanze che regnano nel mondo dei Fondi e delle Sgr, fermi alla finestra a guardare come potrebbe muoversi la finanza globale, quella che decide davvero se è il momento di investire o no». Nel frattempo, Logiman ha aperto una nuova frontiera che si chiama Data center. La prima operazione l’ha chiusa nel 2020 in zona sud a Milano dove Microsoft sta costruendo il suo Data center su un terreno di proprietà di Logiman che ha ceduto l’area a questa società d’informatica di primaria importanza a livello mondiale, fondata da Bill Gates e specializzata nella produzione di software. «Stiamo sviluppando un’analoga operazione in zona ovest sempre a Milano. Investiremo sempre di più in questo settore che ritengo strategico per il futuro della società» termina la nostra chiacchierata Luigi Brega.

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