Dai Beatles agli Stones e Battisti. L’invenzione di Robert “Bob” Moog compie 60 anni

Moog, i sintetizzatori che hanno fatto la storia della musica

L’intervista esclusiva a Patrick Djivas compositore e bassista storico dei PFM (Premiata Forneria Marconi)

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Gli imprenditori sono persone che rischiano personalmente senza la sicurezza di riuscire nella loro impresa. Ma senza gli imprenditori e le loro intuizioni non avremmo compiuto tanti passi in avanti nelle innovazioni e nel progresso tecnico, economico e sociale. Quindi quando tu, industriale, artigiano o commerciante, ti senti da solo con i tuoi pensieri e le tue ansie, pensa a imprenditori iconici che hanno vissuto tutto questo prima di te e che da loro hai sempre qualcosa da imparare.

Sono passati esattamente 60 anni da quando Robert “Bob” Moog inventò il Modular Moog (1963), il primo sistema di sintetizzatori basati su tastiera.

Ad aver dato i natali sonori e visibilità internazionale all’ormai iconico sintetizzatore Moog è stato lo statunitense Walter Carlos (successivamente Wendy, ndr) che nel suo primo rivoluzionario album Switched-on Bach si avventurò in diverse reinterpretazioni di Bach. Siamo nel 1969 e il potenziale del Moog è stato svelato grazie a sonorità in grado di sostituire un intero organico orchestrale senza mai far sentire la mancanza degli strumenti reali, ma creando un vero modo alternativo di esecuzione, tanto che anche il compositore tedesco ne rimase stupito ed entusiasta.

Da quel momento, il primo sintetizzatore Moog entrerà a far parte di alcuni pezzi memorabili della musica ma anche di colonne sonore di alcune famose pellicole. Come dimenticare, infatti, le tracce del film “Arancia Meccanica” (l’iconica settima di Beethoven adattata a una scena di brutale violenza) o il tema di apertura del film cult “Shining” entrambi sotto la regia di Stanley Kubrick.

Negli anni sono stati sviluppati diversi tipi di Moog (ad oggi se ne contano circa 30 modelli), i più utilizzati fra tutti sono il Polymoog e il Minimoog che hanno di fatto dato vita a sonorità sperimentali capaci di creare nuove correnti stilistiche e nuove epoche musicali.

Il Polymoog è un synth polifonico analogico a tre sorgenti di suono: due oscillatori controllati in tensione e uno a bassa frequenza. Suonato tramite tastiera a tre sezioni, possiede un controllo volume su tutte le tre sezioni, un equalizzatore a tre bande e un modulatore comandabile attraverso il meccanismo del sample and hold. Fu il primo sintetizzatore a possedere in memoria 8 suoni predefiniti: strings, piano, harpsichord, funk, vibes, brass, clav. Il Minimoog invece era un sintetizzatore monofonico analogico immesso nel mercato come versione semplificata e a prezzi più accessibili. Questo modello aveva sei sorgenti di suono e cinque di queste (tre oscillatori con forme d’onda selezionabili, un generatore di rumore e una linea di input dall’esterno) passavano attraverso un mixer con il quale era possibile regolare il volume di ciascuna sorgente, in modo indipendente.

I sintetizzatori Moog hanno fatto la storia della musica e sono stati utilizzati da musicisti di grande spessore artistico, in particolare nell’ambito della musica rock, pop ed elettronica. Impossibile non citare, fra i tanti, i tastieristi di gruppi o artisti di caratura mondiale quali Tony Banks, Pink Floyd, Depeche Mode, Deep Purple, Frank Zappa, Santana, Michael Jackson, Lucio Battisti, Renato Zero, Keith Emerson, Pooh, Hans Zimmer, John Foxx ed un elenco lunghissimo di altri artisti, band e orchestre.

Pionieri del Moog in Italia sono stati i PFM (Premiata Forneria Marconi) che grazie al tastierista Flavio Premoli hanno saputo incidere nella storia della musica italiana dei riff memorabili e tutt’ora riconoscibili come quelli di “Impressioni di settembre”, “Festa” e molti altri brani celebri della band.

Nella band storica dei PFM, in veste di compositore e bassista, figurava (e figura tutt’ora) Patrick Djivas, artista di origini greco-francesi e naturalizzato italiano. Nato come chitarrista di rhythm and blues, si approcciò artisticamente al nostro Paese entrando nel gruppo di Rocky Roberts.

E’ con i PFM, però, che confeziona tutte le sue esperienze internazionali più significative strutturandosi artisticamente, insieme alla band, come promotori di un alternative and progressive rock, con sfumature melodiche e sonorità elettroniche a tratti psichedeliche.

Noi di Wip lo abbiamo intervistato per chiedergli qualche aneddoto e porgli alcune domande sui sintetizzatori Moog, di cui anch’esso ne era appassionato e utilizzatore durante le molte composizioni.

Buongiorno Patrick, se ti dico Moog cosa mi rispondi? 

Buongiorno a voi di Wip. Il Moog è stato il primo sintetizzatore creato; c’era anche uno strumento inglese simile, ma era molto più complesso e inaccessibile per i costi, e per la nostra band (PFM) è stato un fattore assolutamente significativo per la composizione e la realizzazione di moltissimi nostri pezzi che sono ancora oggi conosciuti e ricordati da molte persone.

Che tipo di approccio avete avuto con questo sintetizzatore? 

All’inizio conoscevamo questi sintetizzatori tramite alcuni pezzi di Emerson Lake & Palmer e i Beatles che sono stati i primi gruppi a rendere il Moog popolare. Noi avevamo anche il modello 12, ma ci siamo dotati del modello Minimoog che è una versione più semplificata rispetto al Moog 12 e con Flavio ci siamo subito divertiti nella ricerca di nuove sonorità da applicare alle nostre composizioni. Con Impressioni di settembre Festa abbiamo fatto la nostra parte.

Nonostante la spiegazione tecnica dello strumento possa sembrare molto complessa in realtà – soprattutto con il Minimoog che non è modulare – entra in gioco anche la creatività di assemblare diversi moduli e sperimentare nuove sonorità. 

Possiamo definire i sintetizzatori Moog come un’invenzione che ha fatto la storia della musica?

Beh, assolutamente sì. Basti pensare all’infinità di riff prodotti da artisti della scena mondiale e che tutt’oggi vengono ascoltati e studiati per cogliere la grande rivoluzione che questo strumento ha rappresentato per la musica.

Moog ieri e Moog oggi. Come si sono evoluti i sintetizzatori?
Sono stati prodotti tantissimi modelli nuovi e con tecnologie che sfruttano il digitale ma i plug-in su cui si basano i concetti del suono sono rimasti gli stessi. Oltretutto ritengo che dal punto di vista della qualità del suono, i primi modelli risultano ancora eccellenti perché hanno un suono molto grasso, imponente e avvolgente. I sintetizzatori moderni sono in realtà dei campionatori e risultano sicuramente molto più versatili, i suoni generati garantiscono un’alta precisione ed efficienza, ma con risultati meno naturali – e aggiunge – qualche anno fa è uscito sul mercato in modello Moog One che costa un patrimonio (circa 8 mila dollari), ma che produce suoni straordinari.

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